domenica 19 aprile 2009

L'Aquila e dintorni

Non si può raccontare così in poche righe, con poche parole. Perché il terremoto è molto di più. E' più delle parole che possiamo scrivere o leggere. E' più delle immagini che possiamo guardare in televisione.
Una frustata, secca, di notte. E sparisce una città, buona parte della sua provincia. Il terremoto inghiotte le case, le auto, le strade, le persone. La vita. Resta la polvere che abbraccia tutto, te la ritrovi negli occhi, nella gola. La respiri perché nell'aria non c'è altro. Anzi, no. C'è l'odore della morte che ti resta addosso.

Nelle ore successive al terremoto a L'Aquila c'era solo il silenzio dello stordimento, vedi facce sbigottite, gente in pigiama che vaga nelle prime tendopoli senza alcuna meta. C'è la frenesia dei soccorsi, il rumore costante delle sirene che squarcia il silenzio surreale. Cammini e sotto i piedi senti sbiciolarsi gli intonaci che lo scossone ha staccato dalle pareti. La terra trema di continuo, non si ferma mai. Come ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, . Nuvole di polvere si alzano nella valle sotto il centro storico dove i vigili del fuoco scavano, scavano, scavano. Tirano via i calcinacci dalla Casa dello studente, dove a ogni sussulto tutto si fermaa: potrebbe esserci qualcuno. Poco più avanti altri vigili del fuoco si fanno aiutare dai cani nella ricerca contro il tempo di dispersi che respirano. Ogni giorno è così, ora dopo ora.

Ho avuto il provilegio di raccontare il terremoto, di coglierne le sfumature, di capire cosa stava succedendo a quella bella città ridotta in polvere o poco più. Ho vissuto una settimana con chi non aveva niente, con chi aveva perso i fratelli, i genitori, i figli. Non co se sono riuscita a tradurre con le parole quello che ho visto.
Perché ogni volta torni a casa e non ce la fai a lasciare tutto lì, tra le tende blu della protezione civile. Ti porti via con te tutto, ti carichi sulle spalle un pezzo di quella croce che però è tutta loro e non solo per oggi. Ma per domani, quando si spegneranno i riflettori e la normalità inghiottirà i ricordi e le speranze. Quando tutti faranno i conti con i morti da piangere e con i vivi da consolare. Le 205 bare allineate, i venti bambini morti, le giovani vite spezzate nella Casa dello studente. Le lacrime, le grida disperate. Sono schizzi di un ricordo che non perderò mai, che rimarrà con me.