domenica 29 giugno 2008

Domeniche d'estate

Mi piacciono le domeniche d'estate, anche se c'è l'afa che ti taglia il respiro. Mi piacciono perché amo il caldo, il sole. Mi piacciono perché la domenica, a casa dei miei nonni in campagna si mangia all'aperto, sotto gli alberi. Mi piacciono perché il profumo nell'aria è buono, anche se sembra sempre di avere un phon sparato in faccia (cit.). Mi piacciono perché conto i giorni che mi separano dalle ferie e non sono moltissimi, sono solo 33. Mi piacciono perché tengo le finestre aperte con il ventilatore che muove i fogli e mi sento un po' Sostiene Pereira. Mi piacciono perché c'è la luce fino a tardi e quando mangiamo fuori è ancora giorno, anche se sono le nove. Mi piacciono perché la notte mi sdraio sul terrazzo e guardo il cielo, con le stelle e sento solo il profumo del gelsomino della vicina. Mi piacciono perché penso che vorrei essere al mare e invece no, con il mio lavoro la domenica è impossibile stare in spiaggia. Ma ci penso e nei momenti morti mi piace immaginare la sabbia che scotta e il rumore del mare. Mi piacciono perché ho una sensazione di libertà che in altri periodi dell'anno non riesco ad avvertire pur facendo le stesse cose. Mi piacciono perché mi ricordo di quando andavo all'oratorio e la domenica d'estate preparavamo il lunedì dell'Estate ragazzi. E di quando, da piccola, al mare nonno mi portava a prendere il gelato al bar delle Streghe. Mi piacciono le domeniche d'estate, ma mi piacciono anche i ricordi di tante estati fa.

domenica 22 giugno 2008

Siamo tutti un po' azzurri

Questo è il palazzo di fronte casa mia. E la foto è di oggi, 22 giugno 2008 scattata alle 20.46. Un minuto dopo l'inizio della partita Italia-Spagna, valida per le semifinali dell'Europeo.
Quando gioca l'Italia, anche chi il calcio non lo segue MAI, uno sguardo alla tv glielo butta ogni tanto, magari mandando un'imprecazione se Toni non centra la porta o se la difesa fa uno svarione. E in fondo, in fondo, sono tutti contenti se la Nazionale vince.
E' incredibile come a pochi minuti dall'inizio di una sfida della Nazionale, per le strade scende un silenzio surreale. Data la stagione, le finestre sono aperte e si vedono i riflessi delle tv accese: Rai 1, Civoli che dà la formazione, gente che si sistema sui divani e seduti per terra davanti alla tv. Durante la gara, poi si sentono urla selvagge (perché in Italia siamo TUTTI allenatori) per un'azione sfiorata o un gol avversario. In questo momento, poi, in strada non vola una mosca. Si sente l'eco del tifo che viene dall'Austria lcon le voci dei telecronisti. E un solo, lungo, interminabile respiro: si va ai rigori.
Non guardo i rigori, mi mettono ansia, anche a me che non piace molto la Nazionale. Ogni televisione dei palazzi intorno a casa mia è sintonizzata sullo stesso canale, non c'è bisogno che accenda anche la mia. Sento tutto da qui. Gol della Spagna. Silenzio in strada. Gol dell'Italia, segna Fabio Grosso l'eroe di Berlino 2006. Qualche tiepido applauso, si sente che c'è tanta tensione. Gol della Spagna. Ancora silenzio. Errore. De Rossi sbaglia il rigore. Dal balcone di fronte qualcuno lo insulta. Arigol della Spagna. E ancora nessun respiro in strada, anzi no, qualche sportello delle auto che si chiude si sente già. Gol, Camoranesi. Si sentono poche esultanze dalle finestre. BOATO. Buffon para il rigore e riapre la partita, dal solito balcone parte un esultanza selvaggia, spenta subito dopo da Di Natale (ma si può far tirare un rigore a Di Natale?!). Segna la Spagna, l'Italia è fuori. Dai balconi, non si sente più niente, lentamente il chiacchiericcio nella strada riprende, la gente lascia le tv e torna a casa. Tanto da domani, si torna a essere mister e a giudicare formazioni, titolari e cambi.
Anche questo, tutto questo è Italia.
Anche questo è Italia.

venerdì 20 giugno 2008

Marta vs BlackBerry 1-0

Il BlackBerry aziendale ha fatto impazzire mezza Italia epolide. E ieri ha provato a fare lo scemo anche con me.

Dopo due telefonate, le prime della giornata, ha smesso di rispondere ai miei comandi. Niente. Non ne voleva sapere di telefonare. Scaricava e-mail come se niente fosse, faceva l'ignaro spedendo sms a destra e manca, ma di telefonare non c'era verso. Spegni e riaccendi, dieci volte l'ho fatto. Zero.

E siccome la funzione PRIMARIA di un cellulare, sia esso Blackqualcosa o semplice scatoletta è quella di TELEFONARE, mentre lottavo con auricolari vari in macchina ho deciso che una bella punizione non gli avrebbe fatto male. L'ho spento e buttato in borsa, senza la sua simpatica custodia di similpelle (che sarà la prossima a fare una brutta fine). Arrivata a casa poi, ho tolto la sim, nonostante lui continuasse a lampeggiare INSERIRE CARTA SIM, INSERIRE CARTA SIM, e l'ho messa in un vecchio cellulare.

Passata qualche ora, ho deciso che la punizione poteva bastare. Ero sicura che come prima lezione gli fosse bastata. Ho ripreso il Blackminchia, gli ho infilato la sim e l'ho acceso.

Ora è qui, accanto a me, che continua a scaricare e-mail e mandare sms. Ma telefona di nuovo. Maledetta tecnologia.

lunedì 16 giugno 2008

L'Infiorata 2008

















PS: grazie per le foto al grande Nasetti!

martedì 10 giugno 2008

Vergogna Capitale.

Maria ha 82 anni e da oggi ha iniziato lo sciopero della fame. Vive da 40 anni con il marito in una casa in via dei Colli Portuensi: con 900 euro di pensione, ne pagano 700 di affitto. Con 200 euro devono campare, mangiare, pagare le bollette, pagare il condominio di 167 euro e i riscaldamenti.

Maria ha il viso segnato dalle rughe e gli occhi celesti. Piange quando spiega che lei non ce la fa più ed è costretta a fare lo sciopero della fame. Veniva da piangere anche a me che l'ascoltavo e che sapevo che avrei dovuto raccontare delle sue lacrime senza scrivere lacrime.

Maria è una degli affittuari di un gruppo di quattro palazzine in una bella zona di Roma. La proprietà, la Unicredit, poco più di un anno fa manda a tutti un avviso: si vende. Ergo, o comprate a prezzi esagerati (una media di 490 mila euro ad appartemento) o andate via. Ovviamente delle 67 famiglie, solo 25 hanno potuto comprare e alcune di queste sono già in difficoltà con il mutuo (40 anni a 2.300 euro al mese). Hanno ingaggiato una lotta senza risparmiarsi niente, facendo picchetti, occupando una sede della Gabetti (la società che si occupa delle vendite). Niente. La proprietà dopo uno spiraglio iniziale ha chiuso la porta. O si fa come dicono loro o Maria, Franco, Marisa ecc... devono trovarsi un'altra casa. Punto e basta. Non è servito l'intervento della Regione, con l'assessore Astorre, né quello dell'ex delegato alla Casa del Comune Galloro. Niente.

Ecco la vergogna di Roma. Trentamila famiglie in graduatoria per una casa popolare, 120mila appartamenti sfitti e prezzi alle stelle: una casa con due camere alla Bufalotta (alla BU-FA-LOT-TA) costa oltre 380mila euro. Senza autobus, né scuole né farmacie.

La cosa gravissima è che la crisi sta inghiottendo anche il ceto medio: insegnanti, ex professionisti in pensione, dipendenti pubblici e no, commercianti. La nuova povertà sono loro.

A Maria, oggi alle 13, un medico ha misurato la pressione, alla prima ora del suo sciopero della fame. Stava bene, mentre sorseggiava un po' d'acqua stretta dalla morsa del caldo. Insieme con lei, altri quattro inquilini tra cui Marisa Falovo, l'anima del Comitato dei Colli Portuensi 187 e Paolo Di Vetta, uno dei principali protagonisti della lotta per la casa a Roma. "Meglio morire di fame che sotto i ponti senza dignità", dice Marisa.

Quando me ne vado, Maria mi saluta con la mano. Non dice una parola, ma non serve. La lezione di dignità che mi ha dato con il silenzio mi è bastata.

PS: io oggi (domani per i lettori) ho scritto una pagina sul mio giornale, Epolis : ma stamane c'erano solo due tv locali, il tg3 Lazio, il Corriere della Sera e l'Ansa che ha fatto un lancio da 1.050 battute. Millecinquanta battute. Niente di più.

domenica 8 giugno 2008

Cara amica mia

Per la prima volta, forse, da quando ci conosciamo, ti scrivo non utilizzando la carta e la penna. Forse perché ho bisogno dell'immediatezza che solo la rete sa darmi, ho scelto, solo per questa volta, di tradire il nostro patto fatto di carta, inchiostro e ceralacca.

Ho letto le tue righe, dirette e precise come solo tu le sai comporre. Come una poesia triste, stavolta, tanto triste che mi hanno fatto male al cuore. Perché conosco questi tuoi momenti e perché capisco la sensazione di sprofondare nelle sabbie mobili. Ti racconto una storia di una persona che conosciamo bene, senza alcuna pretesa e uso il mio blog, perché il nome, l'Araba fenice, ti sia di buon auspicio.

La storia è di una persona, sempre in cerca di se stessa. Sempre in cammino, per capire dove andare e, soprattutto, cosa essere. Questa persona più volte in vita sua imbocca strade sbagliate, torna indietro e riparte, scegliendone di nuove. Intanto gli anni passano, arrivano traguardi importanti e tempi di scelte forti. E come accade spesso, le soddisfazioni si bilanciano con i sacrifici. E allora inizia una nuova vita, lontana, per costruire un pezzetto di futuro. Ma insieme con essa, arrivano le lacrime, le stesse che tu conosci ora bene. Arrivano perché all'improvviso, anche se hai tutto, senti di non avere niente, di non essere niente. Hai bisogno di altro, perché sembra che il cammino si sia fermato e che la strada sia senza via d'uscita. "Niente di quello che faccio o dico parla più di me. Vago come un'estranea ai miei stessi occhi", scrivi tu. Anche in questa storia la sensazione di smarrimento è la stessa. Ma, per il protagonista di questa storia, il vagare è stato l'ultimo stadio del buio. Perché si rende conto che così avanti non si può andare. Lo stesso coraggio che ha avuto per scegliere di cambiare, serve ora, per girare pagina di nuovo. Ce ne vuole tanto, ma il vento del cambiamento è più forte della resistenza umana. E gira la pagina. Le pagine vecchie restano dove stanno, perché fanno parte del suo passato. Quella nuova, bianca e pulita, è stata messa lì solo per questa persona. L'unico inchiostro che la può rempire è il suo. Allora inizia la vita nuova, fuori dall'odio per quello che si è stati, lontani dalle sabbie mobili.

Con tutto l'affetto che ci lega.