martedì 30 dicembre 2008

Lo zaino per il 2009

Domani finisce l'anno, oggi è tempo di preparare lo zaino che mi accompagnerà nel 2009.
Quest'anno ci infilo subito Valerio e tutto ciò che verrà nei prossimi mesi; ci metto la mia famiglia per intero; gli Amici, quelli vicini e quelli lontani, chi c'è sempre nonostante il tempo che passa, chi sa leggere tra le righe, chi sa che un'amicizia non dipende da una telefonata, chi mi aspetta, chi mi rispetta, e anche chi ha deciso di andare via: uno spazio glielo lascio, poi si vedrà. Ci metto il lavoro, la fatica e la passione che fa muovere le dita sulla tastiera e fa girare gli ingranaggi del cervello. Ci metto tutta la mia storia, per non dimenticare mai da dove vengo e chi sono.

Il resto dello spazio lo lascio ai cambiamenti che ci saranno, al futuro che ancora deve prendere forma, alle decisioni che prenderò, a quelle che subirò. Lascio spazio all'aria che respirerò, ai Paesi e ai luoghi che visiterò e alle parole che scriverò.

Buon anno, di pace e speranza.

lunedì 8 dicembre 2008

Un anno


Un anno di amore, un anno di baci, un anno di abbracci, un anno di parole, un anno di occhi, un anno di sguardi, un anno di sogni, un anno di risvegli, un anno di respiri, un anno di progetti, un anno di scoperte, un anno di pensieri, un anno di ricerche, un anno di racconti, un anno di speranze, un anno di viaggi, un anno di notti, un anno di canzoni alla radio, un anno di strada, un anno di passeggiate, un anno di una mano, nell'altra, un anno di sussurri, un anno di sorrisi, un anno di risate, un anno di vita, un anno di scelte, un anno di comprensione, un anno di vita che non è più mia ma diventa nostra, un anno passato, immerso nel presente che cresce nel futuro.

venerdì 14 novembre 2008

La pioggia

L'altro giorno mi lamentavo della pioggia. Allora mi madre mi ha detto: "Proprio stamattina leggevo la poesia di Neruda, Lentamente muore. E dice anche: Lentamente muore chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante".

Allora c'ho pensato. Perché a me la pioggia non piace, ma mentre ero in macchina e i tergicristalli erano impegnati in una lotta senza fine con le gocce che picchiavano duro contro il vetro, ho scattato una foto. Questa foto.
E ho provato a pensare a tutte le cose positive che derivano dalla pioggia. Non ci credevo nemmeno io, ma ne ho trovate moltissime.

domenica 2 novembre 2008

L'uomo che amava le donne

Ho "incontrato" Stieg Larsson un paio di mesi fa. In poco più di due settimane ho letto Uomini che odiano le donne e La ragazza che giocava con il fuoco, 1.430 pagine in tutto. Ora aspetto il 14 gennaio del prossimo anno, giorno in cui uscirà il terzo volume della trilogia Millennium.

Larsson è un giornalista svedese, fondatore della rivista di denuncia Expo, morto d'infarto nel 2004. Ha fatto in tempo a scrivere la trilogia, nel suo computer sono rimaste 200 pagine del IV volume che però nessuno leggerà mai. Mi è piaciuto subito, siamo andati d'accordo perché la bella scrittura mi piace. Pulita, lineare, asciutta, senza fronzoli. Mattoni che a vederli fanno paura ma che si leggono piacevolmente. Una storia avvincente, costruita bene, molto realistica.

Oggi ho letto l'intervista alla sua compagna, architetto di 54 anni con la quale ha vissuto a Stoccolma. Si sono conosciuti nel 1972, manifestando contro la guerra in Vietnam. E non si sono più lasciati. La giornalista le chiede perché non si siano mai sposati. Lei le risponde mostrandole i due anelli che avevano comprato ma che non sono mai serviti perché quando avevano deciso di sposarsi, Grenada fu invasa dagli Usa e loro da attivisti erano troppo impegnati per il matrimonio. La giornalista scrive che durante l'intervista, Eva Grabielsson ha spesso gli occhi lucidi.

Dice Eva: "Quando Stieg è morto, il 9 novembre del 2004, boom!, ho perso di colpo la capacità di leggere. Seguivo riga per riga con un dito, pronunciavo la parola ad alta voce, come un bambino, alla fine ... Non sapevo cosa avessi letto. [...] Non riuscivo a mangiare, a dormire in modo normale e comunque non nel letto, mi sdraiavo per terra. Non in camera, ma davanti alla porta [...]. Non festeggio l'anniversario del giorno in cui è morto. Festeggio quello in cui è nato. Io sono come Golia contro il gigante. Ho perso ma credo di aver vinto. Ho avuto l'eredità più bella, la nostra vita insieme. Sono cresciuta grazie a lui [...]. Oggi è difficile che le persone la vedano così e a me dispiace: avanzano nell'esistenza come ciechi".

Mi ha fatto tenerezza leggere queste righe, il racconto di chi che ha perso l'amore della sua vita, quello che ti cambia, con il quale cresci. E questo le ha fatto superare i contrasti con la famiglia di lui, l'umiliazione di sentirsi un'estranea davanti allo Stato solo perché non era sposata.
Lo ha perso e ha smesso di leggere, di contare, di mangiare. Mi ha commosso entrare nel dolore di una donna amata da un uomo che amava le donne.

venerdì 17 ottobre 2008

Che rumore fa, la felicità

Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra
la terra l’aria canta come una chitarra.
L’aria canta come una chitarra.
Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima, canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te,con la tua bocca,
essere felice.

("Ode al giorno felice", Pablo Neruda)

venerdì 10 ottobre 2008

Professione: pennivendoli. Mestiere: giornalista.

C'è chi, giustamente, considera gli appartenenti alla mia categoria come una casta. Perché nei grandi (e nei piccoli, ahimé) giornali così come nelle radio o nelle tv ci sono tanti senatori, quelli che scaldano la sedia, firmano un fondo al mese e prendono 8mila euro al mese. Ci sono quelli che si fanno rimborsare un caffè dall'azienda essendo direttori dell'azienda stessa e prendendo per questo svariate migliaia di euro. C'è chi dovrebbe organizzare i giornali, ma passa le giornate al bar o a fumare sigarette. C'è chi si finge malato per non accettare i trasferimenti e fa il furbo facendo pressioni con gli amici di papà. C'è chi entra nei posti solo per il cognome che porta. E fa niente che non sa coniugare un congiuntivo. C'è chi scrive solo quello che gli viene gentilmente dettato dal politico di turno. E per fare tutto questo, si ricevono stipendi molto alti, benefit in ogni dove, sistema sanitario privato (cliniche a cinque stelle convenzionate per ogni malanno, finto o vero) e sistema previdenziale a sé.

Però, perché c'è sempre un però, conosco tanti colleghi bravi, dei fuoriclasse che si fanno un mazzo così dalla mattina alla sera. Che hanno passione per quello che fanno, che sanno ancora "essere" giornalisti, attenti, scrupolosi e bravissimi senza riserve. Ma la maggior parte di loro è precario, è collaboratore a 16 euro al pezzo lordi. Aspetta anni, decine di anni per una sostituzione estiva o per una maternità che significa mettere un pezzetto di piede in redazione. Corrono da una parte all'altra della città a qualunque ora del giorno e della notte. Passano le giornate al telefono (non rimborsato) per scrivere tremila battute che firmerà con il giornalista che è rimasto al caldo (o al fresco d'estate)in redazione. Aspettano anni il sogno di un praticantato. Sudano per avere contatti, per mantenerseli. Fanno anticamera dei potenti, aspettano fuori dai ristoranti al freddo e al gelo, a 40 gradi come a -10 senza battere ciglio. Fanno turni massacranti, lavorando anche tredici, quattordici ore di fila. Notte e giorno, non fa differenza. Seguono noiosi consigli comunali, accesi dibattiti parlamentari sul nulla e prendono le botte a Pianura perché si espongono troppo. Sacrificano la loro vita personale, perché non è facile far conciliare gli orari con un lavoro "normale". Perdono amici, treni, fidanzati, vacanze.

E allora, se permettete, io questa categoria "sana" la difendo. Margherita Granbassi, tra una foto sul settimanale patinato di turno e un'Olimpiade, dice: "Dopo (DOPO!) la carriera sportiva mi piacerebbe fare la giornalista". Bene. Manco finisce l'Olimpiade che Michele Santoro, il guru del giornalismo televisivo d'inchiesta, la chiama a condurre con lui AnnoZero. A FARE la giornalista. Chissà a quanti altri giovani e preparati giornalisti avrà fatto provare Santoro prima di scegliere la bionda atleta. Fa niente che l'Arma (della quale la fiorettista fa parte) la richiama all'ordine. Lei prende l'aspettativa. Chissà se i precari che fanno la fila e sgomitano da secoli alla Rai se la possono permettere l'aspettativa. Tutti s'inventano giornalisti, tutti vogliono tentare. Vorrei cambiare mestiere...che faccio? Massì! Il giornalista. Mi voglio reinventare...che faccio? Massì, il giornalista! Tutti pensano che sia facile fare il giornalista. Che ci vuole? Anzi, che figo. Io faccio il giornalista. Wow. E' no. Non funziona propriamente così.

Una volta, all'università, venne l'ex direttore del Messaggero e poi deputato, Paolo Gambescia. Raccontò un episodio e io non l'ho mai dimenticato. Per un periodo della sua vita (non so se lo sia tutt'ora) è stato sotto scorta per le minacce ricevute dalle Br. Un giorno il figlio piccolo si affaccia alla finestra e guarda la macchina della polizia di sotto e gli chiede: Papà, ma perché proprio tu devi fare questo lavoro? E lui rispose, pensandoci un po': E perché no? E ci spiegò, raccontando l'aneddoto che questo non è un lavoro. E' un mestiere. Perché è artigianale, diceva Walter Tobagi, individuale, duro. Questo ricordava Ai maestri della filosofia, della sociologia da strapazzo.

venerdì 12 settembre 2008

Stregata (e distratta) da faccialibro

L'ho scoperto per caso e per quasi due settimane ne sono stata attratta in modo spasmotico. Anche perché ho incontrato tanti che come me si collegano spesso a Faccialibro, detto anche Facebook. Ho creato la mia paginetta, ho messo qualche foto e ho scoperto un mondo incredibile...

Vecchi compagni del liceo che non sentivo da secoli (tra l'altro ho scoperto - e aderito - un gruppo del nostro ex liceo, la Fratellanza foscoliana), rivisto con loro delle foto della V ginnasio o della gita a Budapest. Ho riacciuffato Stefano che non vedo da un anno, agganciando qua e là anche compagni di università che mi ero persa per strada. Ho "incontrato" Karima da Dubai e abbiamo potuto conoscere sempre virtualmente i nostri rispettivi fidanzati. Ho beccato anche il Sisotto from London. Insomma, un bel po' di gente.

Tutto questo mi ha però distratta dal blog. Sono giorni che non ci metto mano. In realtà non c'è granché da dire, tranne che ho ricominciato a pieno ritmo a lavorare, che il sindaco mi dà sempre un sacco di lavoro, che il parcheggio al Pincio non si fa più, che sta iniziando una stagione calda per l'emergenza casa. E che oggi sono contenta di fare il lavoro che faccio.

domenica 24 agosto 2008

Il rientro

In realtà sono tornata a casa da qualche giorno. Sei, per l'esattezza. Ma il vero rientro, quello che fa suonare la campanella della fine dell'estate è oggi, perché ricomincio il lavoro.

E' stata una bella estate, molto lavorativa, ma bella. Ho fatto un viaggio meraviglioso, il più bello di tutti. Ho visitato l'Andalusia, insieme con Valerio. L'abbiamo calpestata, giorno dopo giorno, mano nella mano. Dieci giorni in cui ho scoperto un angolo magnifico della Vecchia Europa. E in cui ho scoperto che Valerio è anche il mio compagno di viaggi preferito. Non me ne voglia chi ha già viaggiato con me, ma con lui è diverso. Abbiamo condiviso ogni minuto degli undici giorni passati insieme, scoprendo paesaggi nuovi, visitando città bellissime, affrontando piccoli e grandi disagi. La quotidianità con lui mi piace tanto.

Camminare in posti nuovi tenendogli la mano è la fotografia di questa mia estate bellissima.

venerdì 1 agosto 2008

Buone vacanze

Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro e quindi, di contatto quotidiano con il mio amato Pc. Forse riuscirò ad aggiornare il blog durante queste lunghe ferie, ma nel caso contrario, lascio questo ultimo post pre vacanze.
Buon riposo a tutti, godetevi questo ultimo scorcio di estate.

mercoledì 30 luglio 2008

Le barricate, ancora loro

Sarà l'estate che ci fa male. Ma siamo di nuovo sulle barricate, a tre giorni dallo stop estivo. Quattro giorni di sciopero (revocabili) per il mancato rispetto dell'azienda di un accordo con il cdr (la componente sindacale dei giornali). Per chi vuol saperne di più, legga i comunicati su www.epolis.sm.

Oggi è il secondo giorno. Quando uno pensa allo sciopero, dice: ammazza, adesso mi riposo qualche giorno...
Macché. Telefonate fiume a tutte le ore, sms, email, minacce, rettifiche, persone che ti cercano per chiederti perché non è uscito il giornale. L'ansia non ti lascia in pace, anche se provi a sfogliare un libro o la guida del vicinissimo viaggio. Mal di testa martellante. Sono faticose le barricate. Ma necessarie, perché (e detto da me fa un certo effetto anche per la sottoscritta) in questo momento, almeno per noi, non c'è alternativa alla prova di forza per far rispettare i nostri diritti di lavoratori.

giovedì 24 luglio 2008

Il vento, sempre lui

Era un po' che non soffiava così forte. Quasi me l'ero dimenticato. E invece eccolo qua, forte e prepotente come sempre. E per introdurre questo post uso le parole del mio amico Giornalaio: se leggete, non fate finta di non averlo letto.

Il vento, dicevo. Ha scompigliato un po' di carte, e spesso questa non è una brutta cosa. Ha toccato nervi scoperti, ha risvegliato animi indolenziti dalla vita, ha oliato ingranaggi arrugginiti dall'appannaggio di una calma apparente. Ho provato a tenere ferme le carte che volavano via a ogni folata, c'ho messo impegno, ho faticato non poco. Invece, niente. Ha vinto ancora lui. Forse non mi sono impegnata abbastanza, mea culpa, forse doveva andare così. Forse qualche cartaccia qua e là può rivelarsi documento interessante. E se nemmeno quella servirà a riempire caselle vuote, pazienza. La cosa bella delle giornate ventose è che alla fine il cielo è azzurro, limpido. E l'aria più pulita.

Un post palloso, me ne dolgo per chi è incappato in questo poco inchiostro versato.

domenica 20 luglio 2008

Vergogna.

Accade di domenica, quando la gente sfiancata da un luglio che pare non voler finire mai, trascorre qualche ora sulla spiaggia. Accade che quattro piccole rom devono vendere braccialetti e collanine su quella spiaggia napoletana. Accade che anche loro, sfiancate dal lavoro e dal caldo, vogliono farsi un bagno. Non hanno il costume e allora si buttano in mare vestite. Forse non sanno nuotare, perché al campo rom di Scampia non te lo insegnano. Forse non sapevano che quando c'è il mare grosso e non sai nuotare è pericoloso. Si sono tuffate. E il mare grosso se l'è trascinate dentro. Due bagnini riescono a tirarne fuori solo due, le altre non ce la fanno e vengono ripescate a un centinaio di metri dalla riva. E qui accade l'inimmaginabile. Perché i due cadaveri restano per alcune ore sulla spiaggia, coperti da un telo da mare, senza che nessuno muovesse un dito. Restano sulla spiaggia, mentre la gente continua a leggere il giornale, a mandare sms, a chiacchierare come se niente fosse. In fondo, sono solo due rom che forse infastidivano pure. Per carità, poverine, ma peggio per loro.

Laura Boldrini, portavoce dell'alto commissariato dell'Onu per i rifugiati si chiede: «Si sarebbe tenuto lo stesso comportamento se si fosse trattato di due bambine italiane? Come possibile che le persone non danno più spazio alla commozione, di fronte ad un dramma simile?».

domenica 6 luglio 2008

Lo scrivere


"La parola abbaglia e inganna
perché mimata dal viso.
Ma le parole nere sulla pagina bianca
sono l'anima messa a nudo"
Guy de Maupassant

martedì 1 luglio 2008

Il mio lavoro

Quando si è piccoli, si sogna il lavoro da fare da grandi.
Quando ero piccola ho sognato diverse cose, dalla scienziata alla farmacista. Non sono nata con il pallino del giornalismo, anche se alle elementari ho coordinato il TGiovani per la recita scolastica.
E' stato un innamoramento lento, senza colpi di fulmine (e quindi, un amore destinato a durare). E la scintilla, tra me e lui (il giornalismo) è scattata definitivamente durante un convegno alla Lumsa, con Paolo Gambescia, ex direttore del Messaggero che raccontava un episodio. Lui, sotto scorta per minacce ricevute dalle Br se non ricordo male, in casa con il figlio piccolo che guarda dalla finestra la polizia e gli chiede: "Papà, ma perché proprio tu?". E lui: "E perché non io?". Lì ho capito che era QUELLO che volevo fare, nient'altro. Sapevo che sarebbe stata una strada dura, quasi impossibile. Ma valeva la pena, almeno tentare.
Oggi che questo mestiere (non è una professione, è un mestiere - Gambescia docet) lo faccio mi capita più volte di rispondere alla domanda: ma che lavoro fai?
Ecco, certi giorni me lo chiedo anche da sola. E quasi sempre la risposta arriva. Perché ci sono momenti che vorrei lavorare in banca o alle poste, senza responsabilità, con orari fissi e regolari, ferie sicure, riposi sabato e domeniche e festivi, del tipo: fai il tuo e vai a casa. Vorrei avere il tempo per dormire, mangiare regolarmente alle 13 e alle 20 seduta a un tavolino. Vorrei avere il tempo di telefonare (quante persone ho perso per strada perché io NON TELEFONO MAI). Vorrei avere il tempo di andare dal medico senza fare le corse in macchina. Vorrei non avere il telefono aziendale (anche se è il Blackberry!). Vorrei andare a dormire senza pensare al titolo, alla foto, al pezzo da fare domani, a cosa fare domenica che non c'è niente...
Poi, capitano giorni come questi. In cui ti rendi conto di aver fatto una cagata bestiale sul giornale di ieri (oggi per chi legge) e di dover rimediare. Allora scatta un meccanismo, che ti fa pensare a una velocità impressionante, colleghi nomi, numeri, fatti. Le dita compongono da sole i numeri da chiamare mentre pensi già a quello che farai dopo. L'adrenalina che sento quando sto per dare forma a una notizia è incredibile. Le idee si intrecciano con quelle degli altri colleghi, inquadri la pagina, come la vuoi tu, la disegni nella tua testa e inizia a comporla, come se fosse una canzone. E la soddisfazione che si prova quando quella notizia ce l'hai solo tu e dai un buco ai colleghi è impossibile da descrivere. Così come l'emozione di raccontare la vita della gente, il dramma di tante persone. E capisci che anche solo scrivere questo, ti soddisfa e ti ripaga di tante altre cose. Compresi gli orari impossibili, le cene saltate, la vita assurda, le feste non festeggiate.
Ieri girando qua e là su internet mi è capitato il blog del mio collega di Treviso, Manuel Scordo. In un post c'era una frase bella, che descrive benissimo il nostro lavoro: E giornalismo è raccontare vite, storie, emozioni: ma solo dopo averle viste negli occhi. Il resto è una replicante imitazione.
Aveva ragione Paoluzi, "il maestro", quando davanti alle nostre rimostranze alla scuola di giornalismo per un servizio o troppo tardi, o troppo presto o troppo lontano, insomma, un servizio scomodo, ti guardava e chiedeva: che mestiere vuoi fare?

domenica 29 giugno 2008

Domeniche d'estate

Mi piacciono le domeniche d'estate, anche se c'è l'afa che ti taglia il respiro. Mi piacciono perché amo il caldo, il sole. Mi piacciono perché la domenica, a casa dei miei nonni in campagna si mangia all'aperto, sotto gli alberi. Mi piacciono perché il profumo nell'aria è buono, anche se sembra sempre di avere un phon sparato in faccia (cit.). Mi piacciono perché conto i giorni che mi separano dalle ferie e non sono moltissimi, sono solo 33. Mi piacciono perché tengo le finestre aperte con il ventilatore che muove i fogli e mi sento un po' Sostiene Pereira. Mi piacciono perché c'è la luce fino a tardi e quando mangiamo fuori è ancora giorno, anche se sono le nove. Mi piacciono perché la notte mi sdraio sul terrazzo e guardo il cielo, con le stelle e sento solo il profumo del gelsomino della vicina. Mi piacciono perché penso che vorrei essere al mare e invece no, con il mio lavoro la domenica è impossibile stare in spiaggia. Ma ci penso e nei momenti morti mi piace immaginare la sabbia che scotta e il rumore del mare. Mi piacciono perché ho una sensazione di libertà che in altri periodi dell'anno non riesco ad avvertire pur facendo le stesse cose. Mi piacciono perché mi ricordo di quando andavo all'oratorio e la domenica d'estate preparavamo il lunedì dell'Estate ragazzi. E di quando, da piccola, al mare nonno mi portava a prendere il gelato al bar delle Streghe. Mi piacciono le domeniche d'estate, ma mi piacciono anche i ricordi di tante estati fa.

domenica 22 giugno 2008

Siamo tutti un po' azzurri

Questo è il palazzo di fronte casa mia. E la foto è di oggi, 22 giugno 2008 scattata alle 20.46. Un minuto dopo l'inizio della partita Italia-Spagna, valida per le semifinali dell'Europeo.
Quando gioca l'Italia, anche chi il calcio non lo segue MAI, uno sguardo alla tv glielo butta ogni tanto, magari mandando un'imprecazione se Toni non centra la porta o se la difesa fa uno svarione. E in fondo, in fondo, sono tutti contenti se la Nazionale vince.
E' incredibile come a pochi minuti dall'inizio di una sfida della Nazionale, per le strade scende un silenzio surreale. Data la stagione, le finestre sono aperte e si vedono i riflessi delle tv accese: Rai 1, Civoli che dà la formazione, gente che si sistema sui divani e seduti per terra davanti alla tv. Durante la gara, poi si sentono urla selvagge (perché in Italia siamo TUTTI allenatori) per un'azione sfiorata o un gol avversario. In questo momento, poi, in strada non vola una mosca. Si sente l'eco del tifo che viene dall'Austria lcon le voci dei telecronisti. E un solo, lungo, interminabile respiro: si va ai rigori.
Non guardo i rigori, mi mettono ansia, anche a me che non piace molto la Nazionale. Ogni televisione dei palazzi intorno a casa mia è sintonizzata sullo stesso canale, non c'è bisogno che accenda anche la mia. Sento tutto da qui. Gol della Spagna. Silenzio in strada. Gol dell'Italia, segna Fabio Grosso l'eroe di Berlino 2006. Qualche tiepido applauso, si sente che c'è tanta tensione. Gol della Spagna. Ancora silenzio. Errore. De Rossi sbaglia il rigore. Dal balcone di fronte qualcuno lo insulta. Arigol della Spagna. E ancora nessun respiro in strada, anzi no, qualche sportello delle auto che si chiude si sente già. Gol, Camoranesi. Si sentono poche esultanze dalle finestre. BOATO. Buffon para il rigore e riapre la partita, dal solito balcone parte un esultanza selvaggia, spenta subito dopo da Di Natale (ma si può far tirare un rigore a Di Natale?!). Segna la Spagna, l'Italia è fuori. Dai balconi, non si sente più niente, lentamente il chiacchiericcio nella strada riprende, la gente lascia le tv e torna a casa. Tanto da domani, si torna a essere mister e a giudicare formazioni, titolari e cambi.
Anche questo, tutto questo è Italia.
Anche questo è Italia.

venerdì 20 giugno 2008

Marta vs BlackBerry 1-0

Il BlackBerry aziendale ha fatto impazzire mezza Italia epolide. E ieri ha provato a fare lo scemo anche con me.

Dopo due telefonate, le prime della giornata, ha smesso di rispondere ai miei comandi. Niente. Non ne voleva sapere di telefonare. Scaricava e-mail come se niente fosse, faceva l'ignaro spedendo sms a destra e manca, ma di telefonare non c'era verso. Spegni e riaccendi, dieci volte l'ho fatto. Zero.

E siccome la funzione PRIMARIA di un cellulare, sia esso Blackqualcosa o semplice scatoletta è quella di TELEFONARE, mentre lottavo con auricolari vari in macchina ho deciso che una bella punizione non gli avrebbe fatto male. L'ho spento e buttato in borsa, senza la sua simpatica custodia di similpelle (che sarà la prossima a fare una brutta fine). Arrivata a casa poi, ho tolto la sim, nonostante lui continuasse a lampeggiare INSERIRE CARTA SIM, INSERIRE CARTA SIM, e l'ho messa in un vecchio cellulare.

Passata qualche ora, ho deciso che la punizione poteva bastare. Ero sicura che come prima lezione gli fosse bastata. Ho ripreso il Blackminchia, gli ho infilato la sim e l'ho acceso.

Ora è qui, accanto a me, che continua a scaricare e-mail e mandare sms. Ma telefona di nuovo. Maledetta tecnologia.

lunedì 16 giugno 2008

L'Infiorata 2008

















PS: grazie per le foto al grande Nasetti!

martedì 10 giugno 2008

Vergogna Capitale.

Maria ha 82 anni e da oggi ha iniziato lo sciopero della fame. Vive da 40 anni con il marito in una casa in via dei Colli Portuensi: con 900 euro di pensione, ne pagano 700 di affitto. Con 200 euro devono campare, mangiare, pagare le bollette, pagare il condominio di 167 euro e i riscaldamenti.

Maria ha il viso segnato dalle rughe e gli occhi celesti. Piange quando spiega che lei non ce la fa più ed è costretta a fare lo sciopero della fame. Veniva da piangere anche a me che l'ascoltavo e che sapevo che avrei dovuto raccontare delle sue lacrime senza scrivere lacrime.

Maria è una degli affittuari di un gruppo di quattro palazzine in una bella zona di Roma. La proprietà, la Unicredit, poco più di un anno fa manda a tutti un avviso: si vende. Ergo, o comprate a prezzi esagerati (una media di 490 mila euro ad appartemento) o andate via. Ovviamente delle 67 famiglie, solo 25 hanno potuto comprare e alcune di queste sono già in difficoltà con il mutuo (40 anni a 2.300 euro al mese). Hanno ingaggiato una lotta senza risparmiarsi niente, facendo picchetti, occupando una sede della Gabetti (la società che si occupa delle vendite). Niente. La proprietà dopo uno spiraglio iniziale ha chiuso la porta. O si fa come dicono loro o Maria, Franco, Marisa ecc... devono trovarsi un'altra casa. Punto e basta. Non è servito l'intervento della Regione, con l'assessore Astorre, né quello dell'ex delegato alla Casa del Comune Galloro. Niente.

Ecco la vergogna di Roma. Trentamila famiglie in graduatoria per una casa popolare, 120mila appartamenti sfitti e prezzi alle stelle: una casa con due camere alla Bufalotta (alla BU-FA-LOT-TA) costa oltre 380mila euro. Senza autobus, né scuole né farmacie.

La cosa gravissima è che la crisi sta inghiottendo anche il ceto medio: insegnanti, ex professionisti in pensione, dipendenti pubblici e no, commercianti. La nuova povertà sono loro.

A Maria, oggi alle 13, un medico ha misurato la pressione, alla prima ora del suo sciopero della fame. Stava bene, mentre sorseggiava un po' d'acqua stretta dalla morsa del caldo. Insieme con lei, altri quattro inquilini tra cui Marisa Falovo, l'anima del Comitato dei Colli Portuensi 187 e Paolo Di Vetta, uno dei principali protagonisti della lotta per la casa a Roma. "Meglio morire di fame che sotto i ponti senza dignità", dice Marisa.

Quando me ne vado, Maria mi saluta con la mano. Non dice una parola, ma non serve. La lezione di dignità che mi ha dato con il silenzio mi è bastata.

PS: io oggi (domani per i lettori) ho scritto una pagina sul mio giornale, Epolis : ma stamane c'erano solo due tv locali, il tg3 Lazio, il Corriere della Sera e l'Ansa che ha fatto un lancio da 1.050 battute. Millecinquanta battute. Niente di più.

domenica 8 giugno 2008

Cara amica mia

Per la prima volta, forse, da quando ci conosciamo, ti scrivo non utilizzando la carta e la penna. Forse perché ho bisogno dell'immediatezza che solo la rete sa darmi, ho scelto, solo per questa volta, di tradire il nostro patto fatto di carta, inchiostro e ceralacca.

Ho letto le tue righe, dirette e precise come solo tu le sai comporre. Come una poesia triste, stavolta, tanto triste che mi hanno fatto male al cuore. Perché conosco questi tuoi momenti e perché capisco la sensazione di sprofondare nelle sabbie mobili. Ti racconto una storia di una persona che conosciamo bene, senza alcuna pretesa e uso il mio blog, perché il nome, l'Araba fenice, ti sia di buon auspicio.

La storia è di una persona, sempre in cerca di se stessa. Sempre in cammino, per capire dove andare e, soprattutto, cosa essere. Questa persona più volte in vita sua imbocca strade sbagliate, torna indietro e riparte, scegliendone di nuove. Intanto gli anni passano, arrivano traguardi importanti e tempi di scelte forti. E come accade spesso, le soddisfazioni si bilanciano con i sacrifici. E allora inizia una nuova vita, lontana, per costruire un pezzetto di futuro. Ma insieme con essa, arrivano le lacrime, le stesse che tu conosci ora bene. Arrivano perché all'improvviso, anche se hai tutto, senti di non avere niente, di non essere niente. Hai bisogno di altro, perché sembra che il cammino si sia fermato e che la strada sia senza via d'uscita. "Niente di quello che faccio o dico parla più di me. Vago come un'estranea ai miei stessi occhi", scrivi tu. Anche in questa storia la sensazione di smarrimento è la stessa. Ma, per il protagonista di questa storia, il vagare è stato l'ultimo stadio del buio. Perché si rende conto che così avanti non si può andare. Lo stesso coraggio che ha avuto per scegliere di cambiare, serve ora, per girare pagina di nuovo. Ce ne vuole tanto, ma il vento del cambiamento è più forte della resistenza umana. E gira la pagina. Le pagine vecchie restano dove stanno, perché fanno parte del suo passato. Quella nuova, bianca e pulita, è stata messa lì solo per questa persona. L'unico inchiostro che la può rempire è il suo. Allora inizia la vita nuova, fuori dall'odio per quello che si è stati, lontani dalle sabbie mobili.

Con tutto l'affetto che ci lega.

mercoledì 28 maggio 2008

Le sere di primavera

Che belle le sere di primavera. Anche oggi che il cielo si sta caricando di pioggia.
Sono belle perché calde, con le finestre aperte e la brezza che muove le tende. Si sente il gelsomino e mi ricordo del giardino della casa vecchia, il limone e i geranei. Gli odori delle cene pronte dalle cucine spalancate, le tv accese, il chiacchiericcio della gente dalle tavole della cena. Il cielo resta chiaro fino a tardi, che viene voglia di non chiudere le persiane. Il pavimento del terrazzo è ancora caldo, dopo la giornata passata sotto il sole cocente. Le rose riprendono fiato, dopo l'afa. E il silenzio profumato è il più bel regalo in queta sera di primavera.

domenica 25 maggio 2008

Vivere e saper vivere

C'è una differenza tra il vivere e il saper vivere.

Inizio dalla seconda. Saper vivere, da quanto vedo, è capire come va il mondo, interpetarlo e comportarsi di conseguenza. Chi sa vivere, non si cura molto degli altri. Non ha tempo. Sa però uscire a testa alta da ogni situazione, anche da quelle ostili a se stessi. Si sa districare con maestria, non ha sensi di colpa, né si cura di mettere amore in quello che fa. L'importante è saper vivere, trovare una collocazione. Tanto poi, a mantenerla ci pensa il menefreghismo acuto di cui i sapienti del vivere sono impastati.

Vivere è uguale a ricercare. E, in un certo senso, a non arrivare mai. Perché chi cerca, sempre e comunque, lo fa per migliorarsi, perché si guarda allo specchio e capisce che così non va. Bisogna crescere. E allora vai con i sensi di colpa, le angosce per ogni ostacolo (o presunto tale), la paura di non farcela, di doversi giustificare. In questa categoria, gli esseri umani hanno una caratteristica di rilievo: pensano troppo. Quel cervello sempre in funzione, pieno di pensieri, opere e omissioni. Che gira, gira, gira...senza fermarsi mai. Nemmeno quando apri gli occhi la mattina e pensi già a ciò che ti aspetti.

Il dubbio che ho è questo: chi vive meglio? I sapienti o i ricercatori?
Io che sapiente non sono e che, ringraziando Dio, conosco più ricercatori, posso dire che forse vivono meglio loro. Ma la differenza tra noi e loro è la qualità. Noi siamo gente di sostanza, che guarda dentro le cose. Diciamo che guarda sempre dentro: ai fatti, alle persone, ai luoghi. E gli sguardi finiscono le grande calderone della ricerca: elementi utili a delineare le belle persone che siamo.


Ps: è un post un po' autereferenziale e chiedo venia. Ma ultimamente i sapienti mi hanno un po' rotto le scatole. Così come i rovinavite.

martedì 20 maggio 2008

Provate a immaginare

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.

(Bertolt Brecht)



Questo testo me lo ha segnalato Ofelia. Mi è piaciuto molto e allora l'ho messo sul blog.

giovedì 15 maggio 2008

D eci e lode per l'Araba fenice!

E' con grande gioia e anche un po' di emozione, che annuncio l'assegnazione al mio blog, di un premio da parte del mio amico giornalaio: il premio D eci e lode.

L'emozione è tanta, ma faccio comunque qualche ringraziamento:
- Al mio giornalaio, perché me lo ha assegnato per un motivo molto bello: siamo lontani, ci conosciamo relativamente da poco, ma uno dei miei amici più cari;
- A chi cammina con me senza tempo e senza spazio che è lo stesso che dà senso a tutto;
- A Ofelia con la quale condivido molto più di titoli e occhielli e che spero presto lasci un post sull'Araba fenice;
- Ai rovinavite: ci provano sempre ma non ci riescono mai!
- A chi legge questo blog: forse sono in pochi, forse sono in tanti. Ma non importa la quantità, bensì la qualità. E da questo punto di vista l'Araba fenice conta un indice qualitativo molto alto;
- Agli altri amici che hanno un blog: perché lasciare una buona traccia nel web è sempre una gran cosa.

E infine, secondo le regole del premio, devo riassegnarlo a mia volta. Allora, il premio D eci e lode lo assegno alla mia amica Silvia e al suo blog dei pensieri malaussèniani.
Motivazione: il suo diario è un concentrato di pensieri e ragionamenti che condivido e che hanno il profumo delle donne di un tempo, messi neo su bianco con una scrittura d'altri tempi. E poi perché è l'unica matta con la quale ho uno scambio epistolare. Sì, proprio epistolare: no e-mail, carta e penna, inchiostro e ceralacca. Eh sì, una donna di altri tempi!



IL PREMIO D ECI E LODE

Che cos'è?
"D eci e lode" è un premio, un certificato, un attestato di stima e gradimento per ciò che il premiato propone.

Come si assegna?
Chi ne ha ricevuto uno può assegnarne quanti ne vuole, ogni volta che vuole, come simbolo di stima a chiunque apprezzi in maniera particolare, con qualsiasi motivazione sempre che il destinatario, colui o colei che assegna il premio o la motivazione non denotino valori negativi come l'istigazione al razzismo, alla violenza, alla pedofilia e cosacce del genere dalle quali il "Premio D eci e lode" si dissocia e con le quali non ha e non vuole mai avere niente a che fare.

Le regole.
1. Esporre il logo del "Premio D eci e lode", che è il premio stesso, con la motivazione per cui lo si è ricevuto. E' un riconoscimento che indica il gradimento di una persona amica, per cui è di valore (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
2. Linkare il blog di chi ha assegnato il premio come doveroso ringraziamento;
3. Se non si lascia il collegamento al post originario già inserito nel codice html del premio provvedere a linkarlo (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
4. Inserire il regolamento (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
5. Premiare almeno 1 blog aggiungendo la motivazione.Queste regole sono obbligatorie soltanto la prima volta che si riceve il premio per permettere la sua diffusione, ricevendone più di uno non è necessario ripetere le procedure ogni volta, a meno che si desideri farlo. Ci si può limitare ad accantonare i propri premi in bacheca per mostrarli e potersi vantare di quanti se ne siano conquistati. Si ricorda che chi è stato già premiato una volta può assegnare tutti i "Premio D eci e lode" che vuole e quando vuole ( a parte il primo), anche a distanza di tempo, per sempre. Basterà dichiarare il blog a cui lo si vuole assegnare e la motivazione. Oltre che, naturalmente, mettere a disposizione il necessario link in caso che il destinatario non sia ancora stato premiato prima.

lunedì 12 maggio 2008

I rovinavite

E' un mestiere difficile quello dei rovinavite. Devi essere altamente specializzato, non avere cuore, essere arido e un grandissimo figlio di puttana. E ce ne sono tanti in giro. Sono lì, restano in silenzio, come i serpenti, strisciando attorno alla preda senza farsi vedere, aspettando un momento che sia quello buono, per attaccare la vittima di turno. Perché per scegliere la vittima non c'è un criterio preciso, visto che tutti siamo degli agnelli da sacrificare, basta solo aspettare il proprio turno. Non serve farsi gli affari propri, stare a posto con la coscienza. No, a loro non importa. Sono nati per fare i rovinavite, figuriamoci...Provano piacere a vedere le esistenze degli altri accartocciarsi, soddisfacendo i loro desideri.
Un po' come i mangiamorte di Harry Potter: ti succhiano via l'anima, lasciandoti senza speranza. L'antidoto contro i mangiamorte è un pensiero felice: quando si avvicinano per darti il bacio della morte, basta che tu pensi a qualcosa di bello, di positivo. E loro se ne vanno, lasciandoti l'anima.

E dato che di pensieri belli io ne ho un sacco, ma proprio tanti, stavolta i mangiamorte cambino giro. Stiano lontani da me, anzi, no. Che vengano. Provino a darmi il bacio della morte...li aspetto. Anzi, li sto aspettando. E non faccio altro che pensare alla mia vita, che è talmente piena di benedizioni che non c'è bisogno di andare a cercare lontano un pensiero bello. E poi, alla fine, la ruota gira, eccome se gira...

martedì 29 aprile 2008

adesso che tutto è finito...

...trovo cinque minuti per scrivere. Finalmente. Anche se nelle ultime settimane non ho fatto altro che riempire pagine con parole, dichiarazioni, numeri, dati e nomi, mi mancava un po' poter scrivere QUELLO CHE MI PARE.

La campagna elettorale è finita, ora inizia un periodo molto intenso, con la nuova giunta, il nuovo sindaco, il nuovo consiglio. Tutto nuovo, come altrimenti non potrebbe essere vista la nuova maggioranza che siede in Campidoglio. Inutile negare che sono contenta che a vincere sia stato Alemanno, ma non voglio parlare di lui né della destra che governerà Roma. Voglio solo togliermi due sassolini dalle scarpe.

Il primo, riguarda la sinistra. Ho detto a Denise: "Se fate la rivoluzione, scendo in piazza con voi". Perché leggere e sentire che la colpa di questa debacle sia della "cosa rossa" mi fa vomitare. Quella che i signori del Piddì chiamano "cosa rossa" è stata l'unica formazione di sinistra che a Roma è scesa tra la gente, ha ascoltato i problemi, ha vissuto con passione le periferie (vedi la vicenda degli appartamenti requisiti nel IX, X e XI). Il Piddì è rimasto nel loft, ha mandato il povero Rutelli a fare da kamikaze contro una macchina da guerra che al secondo giro lo ha stritolato. Sono usciti dalle fabbriche per riempire i salotti, ed ecco i risultati: nelle periferie c'è andato Alemanno "il nero", conquistando parecchi voti anche lì. Ergo, la falla della sinistra, a mio modestissimo avviso, sta proprio lì. Sono spariti dal loro habitat naturale, rimpiazzati da chi li governerà per i prossimi cinque anni. E tanti saluti.

Il secondo. Beppe Grillo. Ma io dico, fai il comico? Ecco, facce ride. Perché vedere le piazze riempite da Grillo, mi fa salire il sangue al cervello (e anche qui, le piazze riempite da un comico che non fa ridere manco più mentre la Sinistra arcobaleno attende i risultati elettorali all'Hard rock cafè di via Veneto...ma lasciamo stare). Vuole abolire le "caste", l'ordine dei giornalisti. Raccoglie firme, urla nel microfono, fa liste elettorali. Scrive Francesco Merlo: "Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui. Come tutti i demagoghi italiani, vorrebbe abbattere la stampa. Crede di essere una somma di Totò e del professor Sartori, uno che prende drammaticamente sul serio la propria scienza politica". E ancora: "E come tanti altri anche Grillo attacca i giornali perché non scrivono quel che vuole lui e come vuole lui: "Pennivendoli di regime". E sogna un capo dello Stato meno "Morfeo" e dunque più decisionista, purché ovviamente nel consiglio di reggenza di questo virile presidenzialismo ci sia lui, Beppe Grillo. Grillo non lo sa, ma il giornalismo, che come tutti i demagoghi italiani anch'egli vorrebbe abbattere, serve anche a mostrare la realtà che sta dietro il dito dell'inaudito".

Il blog è mio, ma lascio volentieri a Merlo la conclusione del post: "Vogliamo dire che Grillo scambia per prepotenza d'altri la propria incapacità di capire che la realtà è l'insieme di centinaia di punti di vista. Nulla di nuovo e nulla di grave, anche perché i giornalisti non sono sacri. L'importante è non attaccare il diritto degli altri a ficcare il naso nella realtà. Se dunque non gli piacciono i mille giornali che lo raccontano in mille modi, tutti diversi da come egli vede se stesso, Grillo faccia lui un giornale che gli somigli di più, che sia specchio del suo narcisismo: un giornale che canta, insulta e sputa in aria". Amen.

giovedì 10 aprile 2008

Ma tu guarda....


Tutte le fortune a questo Walter qua...

mercoledì 9 aprile 2008

Affranta dalla prepotenza

Già da quando andavo all'asilo, mi stavano antipatici i prepotenti, quei bambini più grossi che usavano la loro altezza e la ciccia in più per strapazzare quelli più magrolini e piccoli. Crescendo, poi, di prepotenti ne ho trovati tanti altri, a scuola, in giro, all'oratorio, allo stadio...

Oggi che sono grande, chi proprio non sopporto sono quelli che usano il loro ruolo, la loro posizione per tentare sempre e comunque di fregarti. Ecchecavolo. C'è un limite a tutto! Soprattutto, ma pensate veramente che tutti siano lì a farsi fregare da voi? E, ancora più soprattutto, perché pensate di essere i più furbi, i più dritti? Sono questi gli interrogativi ai quali non darò mai una risposta, almeno, fino a quando sulla faccia della terra gireranno i prepotenti...

domenica 6 aprile 2008

Domenica sera

Sono le undici passate. Ho finito di fare delle cose per le quali ero rimasta indietro pochi minuti fa. Il week end che si sta concludendo in queste ore è stata la più bella parentesi degli ultimi mesi. In più di un'occasione, avrei voluto che il tempo si fermasse. Quando sotto il sole stavo seduta su una panchina sotto la Rocca Maggiore ad Assisi, o quando nel silenzio delle vie dei piccoli centri umbri mi voltavo e accanto a me c'era solo Valerio. Ecco, avrei voluto fissare quei momenti, fermare l'orologio. Ma non per sempre, solo per un po' per riprendere fiato, come dopo una corsa. Perché so che al traguardo di questa corsa manca ancora qualche settimana e sono un po' stanca. Forse domani piove, perché adesso il cielo è coperto. Non è il massimo per iniziare la settimana, ma dopo tre giorni di pace assoluta può accadere di tutto. Ho un paracadute che mi tiene in piedi, la sostanza dei miei giorni, il tessuto delle mie azioni e il senso di tutto. E insieme con questo paracadute ho una rete robusta e forte: i fili hanno nomi, braccia, occhi e mani di quelli che stanno da sempre con me.
Il resto, come dico sempre, viene da sé. Anche se è domenica sera e deve iniziare la settimana di fuoco delle elezioni.

mercoledì 2 aprile 2008

Soddisfazioni dalla campagna elettorale

La sfibrante campagna elettorale per il Campidoglio procede senza particolari sussulti, togliendo le levatacce per seguire i candidati e i simpatici assembramenti con i colleghi mentre si aspettano i suddetti anche per ore davanti ai comitati elettorali.

In due giorni, però, la mia campagna elettorale ha subito un'impennata. Il primo episodio è testimoniato dalla foto qui accanto: il candidato del Pdl, Gianni Alemanno in un negozio dell'Esquilino legge con attenzione, portando il segno col dito, una copia di E Polis, il quotidiano dove lavoro. Sta leggendo un pezzo di una nostra brava collaboratrice sulla crisi del commercio a Roma. Il negoziante aveva tenuto da parte il giornale (che era di lunedì) e lo ha mostrato ad Alemanno. Il secondo episodio è di un paio di giorni fa. Salgo sull'autobus a San Pietro per andare al comitato di Alemanno (sì, sto seguendo la sua campagna elettorale...). Accanto a me si siede un signore, apre la borsa ed estrae una bella copia di E Polis. La apre e dove si ferma? Sulle due pagine che avevo scritto io. L'istinto è stato quello di dirgli: "Ehi, quella lì sono io, quei pezzi sono i miei!". Ma avrei fatto la figura della scema. Allora sono rimasta lì, a guardare questo sconosciuto che scorreva le righe che io il giorno prima avevo composto, guardava le foto che avevo scelto, leggeva i titoli che avevo pensato. La sensazione è strana, perché il giornale lo consideri una tua creatura, da esibire e di cui andare orgogliosi. Ecco, in quel momento ero orgogliosa del mio giornale, delle mie pagine. Eccheccavolo, per una volta, aumentare l'autostima non mi farà male.

venerdì 28 marzo 2008

Ma, Soltanto non sarebbe

Queste due poesie le ho lette stamattina dal libro che mi ha regalato la mia collega Chiara. Il libro si chiama E' quel che è, poesie d'amore, di paura, di collera di Erich Fried.

MA
La prima volta mi sono innamorato
dello splendore dei tuoi occhi
del tuo riso
della tua gioia di vivere

Adesso amo anche il tuo pianto
e la tua paura di vivere
e il timore di non farcela
nei tuoi occhi

Ma contro la paura
ti aiuterò
perché la mia gioia di vivere
è ancora lo splendore dei tuoi occhi

SOLTANTO NON SAREBBE
La vita
sarebbe
forse più semplice
se io
non ti avessi mai incontrata

Meno sconforto
ogni volta
che dobbiamo separarci
meno paura
della prossima separazione
e di quella che ancora verrà

E anche meno
di quella nostalgia impotente
che quando non ci sei
pretende l'impossibile
e subito
fa un istante
e che poi
giacché non è possibile
si sgomenta
e respira a fatica

La vita
sarebbe forse
più semplice
se io
non ti avessi incontrata
Soltanto non sarebbe
la mia vita

martedì 25 marzo 2008

Il ritorno dell'Australosisotto

Oggi un bel post il mio amico Sisotto se lo merita tutto. L'ho visto arrivare dall'angolo, abbronzato, con la sua classica camminata sisottiana. Mi sembrava di averlo lasciato il giorno prima anche se era oltre un anno che non lo vedevo.

L'ho visto sereno, positivo, equilibrato. Ho capito che il coraggio lo ha premiato, gli ha reso giustizia il suo abbandonare una vita che gli stava stretta. In pochi minuti ho visto un nuovo sisotto, non più tormentato dal domani, ma preoccupato di vivere serenamente il presente. Gli ho raccontato la mia vita, cambiata così velocemente. Ma lui aveva già letto tutto nei miei occhi. Perché agli amici non puoi nascondere niente, men che meno la serenità e la felicità per una vita bella e piena.

MATTONCINO è la parola che lego al mio incontro con Siso. E' una parola che piace a tutti e due e che descrive bene le nostre vite, così lontane ma così simili: vissute in modo diverso, ma con la fatica, la speranza e la voglia di costruire qualcosa, di guardare avanti senza paura.

Bentornato a casa, amico mio.

P.S.: la vita è una grande maestra. Perché poche ore dopo l'incontro con Sisotto, ho dovuto combattere contro la stupidità umana. Immensa e sempre viva oltre che faticosa da combattere. Ma ringraziando Dio, come dice la mia amica Denise, "Quando sei vero, sei sempre dalla parte della ragione".

giovedì 20 marzo 2008

...dalle ceneri

Quando ho deciso di chiamare il mio blog l'Araba fenice vivevo un periodo difficile. Poi, il periodo difficile è passato e quel nome mi piaceva sempre più: l'animale mitologico che risorge dalle sue ceneri, con un retrogusto harrypottiano era quello giusto per questo blog. Solo che è proprio difficile rinascere dalle ceneri. Oggi è una giornata strana. Il cielo, ora che si sta facendo notte, è rosa. Ma è piovuto, c'è stato il sole. Ho preso la grandine per seguire un picchetto antisfratto. Ho incontrato don Gennaro, il prete che ha sposato i miei e che mi ha battezzato: mi ha fatto tanto piacere rivederlo. Poi ho avuto mal di testa, anche perché per fare meglio, ho fatto una cazzata. Mi sono pentita, ho chiesto scusa e so che quell'episodio è già passato, dimenticato. Ma io faccio fatica a passarci sopra, perché sapere di far soffrire chi amo mi fa impazzire. Ma passerà. Come le nuvole che minacciano il tramonto di questo giorno strano.

Piccola, grande Lazio

Vincere un derby di per sé è sempre una cosa fantastica. Ma vincerlo ora, quest'anno, è stato ancora meglio: loro lanciati in Campionato e in Champions, noi con un piede nella fossa. Qua, nella foto accanto, due dei protagonisti di una notte bella, immensa. Bella partita, intensa, giocata e iniziata con un bel gesto di Totti e Rocchi, sotto la Nord per ricordare Gabriele Sandri e con le due curve che cantavano unite per il giovane tifoso biancoceleste. Un segno di civiltà, anche la presenza del papà di Gabbo in curva Sud, dato da due tifoserie sempre nell'occhio del ciclone.

Al gol di Behrami, l'ultimo, alla fine, quasi non ci credevo. Vittoria inaspettata, ancora meglio assaporata. C'ho fatto pure la rima. E che ieri guardare la Lazio giocare (e vincere), così come guardare le facce dei romanisti uscire dal campo a testa bassa, era come leggere una poesia. Mi tengo questa emozione, lascio agli altri il Campionato, l'Europa e i sogni di gloria.

domenica 16 marzo 2008

A te, ai miei respiri, ai tuoi occhi

A te che sei l’unica al mondo/ l’unica ragione per arrivare fino in fondo ad ogni mio respiro quando ti guardo dopo un giorno pieno di parole/ Senza che tu mi dica niente tutto si fa chiaro

A te che mi hai trovato all’ angolo coi pugni chiusi/ con le mie spalle contro il muro pronto a difendermi /con gli occhi bassi stavo in fila con i disillusi tu mi hai raccolto come un gatto e mi hai portato con te

A te io canto una canzone/perché non ho altro niente di meglio da offrirti di tutto quello che ho prendi il mio tempo/ e la magia che con un solo salto ci fa volare dentro all’aria come bollicine

A te che sei semplicemente/ sei sostanza dei giorni miei sostanza dei giorni miei

A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande/ A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più/ A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore

A te che io ti ho visto piangere nella mia mano fragile che potevo ucciderti stringendoti un po’ e poi ti ho visto con la forza di un aeroplano prendere in mano la tua vita e trascinarla in salvo

A te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura/A te che credi nel coraggio e anche nella paura

A te che sei la miglior cosa che mi sia successa /A te che cambi tutti i giorni e resti sempre la stessa/ A te che sei semplicemente sei sostanza dei giorni miei sostanza dei sogni miei

A te che sei essenzialmente sei sostanza dei sogni miei/ sostanza dei giorni miei

A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia/ le forze della natura si concentrano in te/ che sei una roccia sei una pianta sei un uragano sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano

A te che sei l’unica amica che io posso avere/ l’unico amore che vorrei se io non ti avessi con me

A te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un' immenso piacere

A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande/ a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più

A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo/ a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore

A te che sei, semplicemente sei sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei/ e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei/ sostanza dei sogni miei


la sostanza del post è tutta chiusa in questo testo, da leggere tra le righe e tra i battiti del cuore, tra gli sguardi che si proiettano solo avanti e che danno senso a tutto. Perché un solo battito di un cuore innamorato può dare senso a una vita intera.

lunedì 10 marzo 2008

Alla ricerca del voto perduto

Quando ho saputo che la mamma di Valerio Verbano è la capolista per il Campidoglio della Sinistra arcobaleno, ho avuto un moto di risentimento. Lo stesso, per capirci, che mi era venuto qualche domenica fa quando al Palalottomatica Veltroni fece abbracciare la signora Rina, mamma di Valerio appunto e Gianpaolo uno dei fratelli Mattei. Ecco, queste cose io non le tollero proprio. Perché dietro la falsa bandiera del: facciamo pace con la memoria, riscopriamo la verità, io ci vedo solo una semplice ricerca del voto perduto. Credo, per carità, alle buone intenzioni di chi vuol capire perché un ragazzino di 19 anni è stato ammazzato con un colpo alla schiena dentro casa sua o perché due fratelli sono stati bruciati vivi nel rogo della propria abitazione. Credo però che ci voglia rispetto, per quei morti (e non sono stati, purtroppo solo tre in quegli anni bui) e per le loro famiglie. Fa bene la signora Rina, a 80 anni portati con dignità e dolore a non fermarsi e a continuare la sua entenuante ricerca della verità sulla morte di Valerio. Forse stando in consiglio comunale riuscirà a far sentire la sua voce, a capire qualcosa di più di quell'omicidio. Spero solo che la politica non le rubi la speranza di capire, un giorno, perché.

domenica 2 marzo 2008

...che ad ogni meno c'è sempre un più

Leggevo il blog della mia amica Veronica, che riportava una frase di Silvia, quando nell'ultima riga dell'ultimo post ho trovato questa citazione. "...a ogni meno c'è sempre un più". A parte il rigurgito di nostalgia domenicale che va da sé, fa parte del copione, l'ho eletta frase della settimana.

Parlavo, proprio nel pomeriggio, con una persona delle nostre sicurezze, delle titubanze, di quello che ci fa bene. Ecco, un principio come questo, applicato a quello che ci accade va benissimo. Perché di momenti bui, anche semplicemente frutto di una bella incazzatura possono stravolgere il senso della giornata e offuscare anche quello che c'è di buono. Invece, se io, nel momento in cui perdo le staffe applicassi il principio del "per ogni meno c'è sempre un più" non mi resterebbe che aspettare di capire dove tirare fuori il segno positivo.

Una bella ode alla positività. Per chiudere una settimana e iniziarne una nuova, mi sembra il modo migliore.

P.S.: giuro, non farò più passare un mese per tornare a scrivere...

venerdì 1 febbraio 2008

I primi sei mesi dell'Araba fenice

Questa sera, non ho molto sonno nonostante sia stanchissima. Sono tornata in camera per spegnere il computer e mi sono ritrovata a girovagare nel mio blog. Ho letto i primi post, quelli delle barricate, ad agosto. Era così diversa la mia vita in quel periodo. E' cambiato molto da quei giorni e oggi sicuramente la mia vita è migliore.

Rileggevo i messaggi che mi hanno lasciato, post dopo post, le persone che hanno visitato questo mio diario. Che emozione. Leggere le parole di incoraggiamento, i saluti e sapere che erano lì a tanti chilometri da me ad aspettarmi. In quel momento, erano una benedizione per me. E oggi, a sei mesi dai quei giorni, mi rendo conto di quanto le benedizioni nella mia vita si siano moltiplicate. E allora grazie, a te che hai lasciato una traccia su questo blog, ma soprattutto grazie a chi ha lasciato un segno nella mia vita.

lunedì 28 gennaio 2008

Le scale

Figliolo ti dirò una cosa: la vita per me non è stata una scala di cristallo.
Ho avuto chiodi e schegge e tavole sconnesse, e tratti senza tappeto:nudi.

Ma sempre continuavo a salire, raggiungevo un pianerottolo, svoltavo un angolo, e certe volte entravo nel buio dove non c'era luce.

Perciò, figliolo, non tornare indietro, non fermarti sugli scalini perché ti è faticosa l'ascesa.

Non cadere, adesso; perché io continuo a salire, amore, ancora mi arrampico, e la vita per me non è stata una scala di cristallo.

L.J.HUGHES
Questa poesia l'ha dedicata Sisotto alla sua mamma, la signora Pina. Oggi, senza volerlo, ho aperto il suo blog e l'ho letta. Allora l'ho presa in prestito. Una bella metafora, per noi moderni.


mercoledì 23 gennaio 2008

I poveri raddrizzano le strade

Ieri sera sono stata con la Comunità di Sant'Egidio alla stazione Termini, dove un gruppo di volontari distribuisce panini, tè caldo e frutta ai senza tetto, anzi, come mi ha spiegato Tonino Sammarone, il responsabile del servizio, agli "amici della strada". I vigilantes non li fanno stare dentro la stazione, e allora queste signore, ragazzi e ragazze, con le buste in mano aspettano che i loro amici della strada li raggiungano al margine di Termini. Un saluto, specie a chi ormai è un vero e proprio abituale, una parola tra un panino con la carne e un bicchiere di tè. E poi una coperta, perché la notte è fredda. E perché a Roma si muore ancora per la strada, come è successo all'inizio dell'anno. Sono tornata a casa e non riuscivo a districare il groviglio che avevo nel cuore. Ma soprattutto, ero sollevata. Dal fatto che i poveri, gli "amici della strada" erano riuciti a raddrizzare una giornata nata male. E dal fatto che sono ancora capace di farmi raddrizzare la strada da loro.

domenica 13 gennaio 2008

Domenica pomeriggio dalla mia finestra

Questo è quello che si vede dalla finestra della mia stanza, in una domenica pomeriggio di lavoro. Il cielo oggi mi piace, perché è il cielo dei giorni freddissimi. Anche se amo il caldo, questa tramontana mi piace, toglie l'umidità e lascia l'aria pulita. Si vedeva bene il mare, così come ho potuto vedere bene le montagne innevate. E Nemi sembrava un piccolo presepe, tutta imbiancata. Di sole ce n'è poco e di solito è quello che mi mette di buonumore. Ma in questi giorni sono ugualmente serena, anche se è piovuto tanto e il cielo è stato sempre grigio. Per essere serena, mi bastano un paio di occhi da guardare.

venerdì 11 gennaio 2008

Senza titolo (e senza parole)

E' un po' che non lascio un post. Sono state feste lavorative, piene e anche un po' funeste. Ma sono passate.
L'altro giorno, mercoledì per l'esattezza, sono andata al San Gallicano, uno degli ospedali storici della Capitale (dovesse passare un sardo per il mio blog...) dove esiste da 25 anni un centro che si occupa delle malattie legate alla povertà. Diretto da Aldo Morrone, l'istituto è diventato centro d'eccellenza, riconosciuto dall'organizzazione mondiale della sanità, con tanto di complimenti del presidente della Repubblica e l'appoggio del ministro Livia Turco. E' stato un bel riconoscimento, per la nostra sanità (specie quella laziale) che spesso tanto eccellente proprio non è. In quel centro c'ero già stata un paio di mesi fa, durante una delle Carovane degli invisibili organizzata da Peppe Mariani (presidente della commissione Lavoro alla Regione Lazio) con il quale ho potuto visitare gli angoli più nascosti e bui della città. In quell'occasione, Morrone ci raccontò la storia del centro, passeggiando tra i corridoi dove i senza tetto, i poverissimi, i malati di mente aspettavano di essere curati. Lì si occupano anche di vittime delle torture e delle donne che escono dal giro della prostituzione. Un bell'esempio, soprattutto perché si tratta di un servizio fatto nell'ombra, senza tanti fondi né mezzi, ma fatto con passione e con tanta dedizione per il prossimo, specie se ultimo della fila.
Martedì prossimo seguirò i volontari di Sant'Egidio nel loro giro notturno tra i barboni, i senza tetto. Magari lascerò un resoconto nel blog. Mi piace poter aprire gli occhi su quello che in realtà vedo tutti i giorni: il volto "invisibile" di una città tanto bella quanto difficile.
PS: la foto racconta del tradizionale pranzo di Natale offerto dalla Comunità di Sant'Egidio, a Trastevere. Quest'anno ci sono andati in diecimila...

martedì 1 gennaio 2008

Buon 2008

Volevo mettere una foto, una di quelle dei festeggiamenti nelle piazze. Sfogliandole, ho visto le piazze vuote di Torino, dove è stato tutto annullato dopo la morte del settimo operaio della Thyssenkrupp. Una brutta fine di anno, per tutti. Specie per chi non ha più un marito, padre, fidanzato, figlio, morto arso dal fuoco mentre lavorava. O per chi, durante l'anno, è rimasto per terra ai piedi di un ponteggio nei tanti cantieri italiani. 1.047 morti sul lavoro in 365 giorni. Anche chi come me non è bravo con i numeri capisce che sono tanti, troppi.
Se dovessi preparare un bagaglio di cose da portare dall'anno vecchio nel 2008, le morti bianche le metterei per prima cosa, per non dimenticare chi muore nei cantieri, nelle fabbriche per mille euro al mese e lascia bambini senza padre e mogli senza marito.

Poi, ci metto la mia famiglia, un po' rumorosa ma indispensabile. Ci metto Valerio, perché da quando è arrivato, non posso proprio farne a meno. E senza di lui non posso andare tanto lontano. Ci metto i miei amici, perché senza di loro questo anno difficile non sarebbe passato così. Ci metto l'estate burrascosa, il vento, la Puglia e il mare di Torre dell'Orso. Gli occhi e gli abbracci di Sara e Leyla. Ci metto Rossella, Nino (e pure Spino) e loro sanno perché, le parole sarebbero superflue. Ci metto Denise, perché lavorare qui, senza di lei non sarebbe così divertente e stimolante. Ci metto Silvia (i nostri diari condivisi...) e Veronica (il suo coraggio, roba da pochi eletti...). Ci metto Domenico, lontano ma vicino come pochi. Ci metto l'Australosisotto (un amico di quelli che tutti dovrebbero avere). Ci metto New York, il viaggio della svolta. Ci metto l'8 dicembre. E tutte le emozioni che mi hanno fatto battere il cuore, gli occhi che ho incrociato e i cieli azzurri che mi sono goduta a Roma. Ci metto i miei colleghi, con i quali ho condiviso un anno difficile. Ci metto un giornale che ha resistito alla tempesta, e un nuovo direttore che è appena arrivato. E tutti quelli che hanno camminato con me. Chiudo lo zaino.

Perché per i post-moderni, per chi non ha coraggio, per chi pensa solo a seminare disprezzo e cattivi sentimenti, per chi non ha capito niente di me, per chi pensava di aver capito tutto, per chi pensa sempre di avere una soluzione ai problemi del mondo, per tutti questi, nel mio zaino 2008 posto non ce n'è.
Buon anno allora, e "pace in terra agli uomini di buona volontà".