martedì 25 dicembre 2007

Natale 2007

Anche questo Natale è passato, direbbe mio nonno che ogni anno ci ricorda, più o meno a quest'ora che la festa è finita.

Questo Natale per me ha avuto un sapore nuovo. Perché sono cambiate tante cose nella mia vita, perché il vento che soffia ha portato cose nuove, ha pulito l'aria. E nel vento, ho incrociato un'altra vita, bella, serena, concreta e coraggiosa. Ha saputo travolgermi l'esistenza. E adesso che cammina con me, non ne posso più fare a meno.

Ieri sera, durante la messa di mezzanotte, don Giovanni ha fatto un po' di auguri sparsi. Principalmente a chi, nella nostra comunità sta vivendo un momento difficile. Durante la sua omelia, Michele è scoppiato a piangere. Perché la sua mamma è morta da poco. Michele è uno scout, è un ragazzo disabile, buono e dolce. Ha perso la sua mamma e quando don Giovanni ha ricordato anche chi non cè più, lui ha pianto. Lacrime come quelle dei bambini, calde e profonde. Perché Michele è come un bambino. E sente forte il dolore della perdita della madre. Tutti lo hanno confortato, abbracciato. Marco, che è il caposcout, lo accarezzava per calmare i singhiozzi che lo scuotevano. Poi è stato il turno di Franco, che ha il papà all'ospedale in coma. Forse non ce la farà. Ha pianto anche lui, come domenica scorsa. Il Natale, la meraviglia del Natale, è che mentre tutti pensano a farsi gli auguri, c'è chi si inginocchia nella sofferenza. Perché è la festa della luce, di una nascita che cambia il mondo. Allora, in questo pomeriggio freddo, con il sole che cala, voglio fare gli auguri e stringere in un abbraccio forte Michele e Franco, il segno di una sofferenza che non può essere dimenticata oggi che è Natale, ma anche nei giorni che verranno. Tanti auguri, con il cuore.

giovedì 13 dicembre 2007

Gli odori di casa mia

Quando la mattina apro gli occhi, dalle persane filtra la luce. Se c'è il sole apro subito la finestra, altrimenti aspetto un po'. Dopodiché apro la porta della mia stanza e mi vengono incontro gli odori di casa mia, quelli che mai scorderò. L'aroma del caffè, misto al profumo pungente dell'arancia (mia madre d'inverno diventa la più grande consumatrice regionale di arance da spremuta). Eppoi, il calore di una casa ancora avvolta nel tepore della mattina. Quando apro la finestra, poi, mi viene incontro il sole e il profumo dei limoni dell'albero sul terrazzo. E ancora, il gelsomino, l'odore dei panni stesi e quello del camino di Gaetana, che lo accende all'alba. Eppoi, i geranei, le rose e le decine di piante che sono sulla ringhiera del terrazzo. Ecco, quando mi alzo la mattina, gli odori di casa mia mi danno il buongiorno.

martedì 11 dicembre 2007

NYC/2 e dintorni

Quando sono tornata da NYC non ho fatto altro che ripetere quanto mi era piaciuta, quanto era bella. Ma la cosa più bella di quel viaggio, è stata la sensazione di libertà che ho respirato per una settimana. Ecco perché NYC è stata la mia chiave di volta. Perché NYC è una città dove tutti sono liberi, di andare, girare, dire, vestirsi come vogliono. Che bello. Ho sentito il sapore della libertà. Di quella che assapori quando le cose vanno al proprio posto, come in un grande puzzle. Tutto gira nel verso giusto, perché la vita ti rende quello che ti deve. Sempre. E, lo sostengo da tempo immemore, i sacrifici pagano, oltre a fortificare. E che il coraggio è una virtù di pochi. E che ridere fa bene all'anima. E che pensare che tutto andrà bene, alla fine, lo fa accadere. E che il vento non ha mai smesso di soffiare. E che, adesso, qualunque cosa accada va bene. E perché ascoltare di nuovo il battito del cuore è la cosa più bella del mondo.

domenica 9 dicembre 2007

la strada, il coraggio

"Hai capito che la vita va vissuta con il coraggio della curiosità. Che bisogna infilarsi per viali alberati e viottoli sterrati che deviano dal proprio percorso naturale. Che bisogna anche solo guardarli, conoscerli, portarli con sé. Perché così il viaggio dura di più, è più vario. E' bellissimo che tutto questo accada. Accada ancora. Che si sentano voci, che le persone abbiano voglia di parlare. Abbiano voglia di cercarsi, di scambiarsi". (Walter Veltroni, La scoperta dell'alba)

sabato 8 dicembre 2007

Avere 166 anni e non sentirli

Oggi per la Chiesa è un giorno di festa, perché si festeggia l'Immacolata concezione di Maria. Ma per i salesiani la festa è doppia, perché è anche il "compleanno" dell'oratorio: 166 anni fa, don Bosco con Bartolomeo Garelli dava vita al primo oratorio.

Sono cresciuta dai salesiani. All'oratorio ho passato anni bellissimi, divisi tra ritiri, estati al mare (lo stabilimento Oda a Ostia ce l'ho nel cuore) e inverni al gelo del circolo Don Bosco o nella biblioteca Fox. Considero quella salesiana la mia seconda famiglia, perché i figli di don Bosco hanno fatto parte della mia crescita umana e spirituale. Oggi passeggiavo per l'oratorio in festa. E' cambiato molto da quando ero piccola. Ma lo spirito è sempre quello. Ho ripensato a quante volte sono entrata in chiesa solo per respirare. O di quante volte Gesù è sceso dalla croce, si è seduto accanto a me, mi ha asciugato le lacrime, mi ha solo dato la spalla per riposare o di quando mi guardava per condividere le mie gioie. Mi ha guidata, quel Gesù. Mi ha mandata in giro, mi ha dato coraggio. Mi ha chiamata in Africa, mi ha spinta a lasciare tutto. Ma senza i salesiani, tutto questo non avrebbe avuto senso. Perché la cosa più preziosa che mi hanno insegnato, è che essere figli di Dio vuol dire essere liberi. E che la fede è speranza, senza paura. Una speranza che incoraggia, che non abbandona mai.

Oggi i miei compagni di viaggio, di quel bel viaggio, sono sparsi un po' ovunque. Certe volte mi viene una nostalgia incredibile. Vorrei assaporare quel periodo, anche solo per un attimo. I venerdì sera al freddo e al gelo, o i ritiri di Natale e Pasqua, con la pasta scotta e le frittate verdi. Vorrei avere la possibilità di guardare di nuovo quegli occhi, incrociare gli sguardi di chi con me ha condiviso veramente tutto per anni interi. Ora c'è chi è sposato, chi ha bambini, chi vive lontano, chi sta per diventare salesiano, chi cerca ancora la propria strada e chi si è perso. Ma questa sera, che è il compleanno dell'oratorio ed è una festa per tutti noi, mi piace pensarci di nuovo lassù, "dai preti", a giocare a nascondino nel cortile alle 2 del mattino, o a cercare un bar aperto per fare colazione dopo la preghiera del venerdì. O semplicemente, stretti attorno a quel Gesù che tante volte è sceso dalla croce per accompagnarci.

martedì 4 dicembre 2007

Il bel tempo...

..mi mette di buonumore. Poi, quando da qui si vede anche il mare, è ancora meglio. E oggi splende il sole, c'è una buona temperatura, il mare è laggiù fermo che brilla sotto i raggi. Ho incontrato Tommaso dopo tantissimo tempo, Leyla che è di buonumore pure lei, Paoluzi che mi fa sempre bene. Insomma, oggi è proprio una bella giornata.

giovedì 29 novembre 2007

domenica 25 novembre 2007

NYC

Non riesco a capire che ora è. Perché in 24 ore ho attraversato due continenti, sono saltata sei ore indietro e sono tornata a casa. Ma deve essere tardi, perché ho finito di lavorare e inizio a sentire il peso del fuso orario. Perché fino a ieri sera io ero a New York City. Non l'ho amata subito, anzi. All'inizio mi ha fatto uno strano effetto. Un turbine di odori e colori, con un freddo glaciale mi hanno accolta sulla 7th. Poi però è una città che si fa amare, di cui non puoi che parlarne bene. Sta lì e aspetta che tu sappia apprezzarla, guardarne i lati belli e sopportare quelli meno belli. Aspetta che tu te ne innamori. Perché accade. E quando il cielo (che sembra sempre essere preso con il grandangolo, vero Dome?) è celeste, diventa magica. I grattacieli neri e grigi brillano sotto il sole e il celeste si abbina al rosso, al verde e al giallo delle foglie di Central Park. Ho aspettato 26 anni per vedere uno scoiattolo passarmi sulle scarpe: NYC mi ha regalato anche questo. Ho apprezzato gli odori, molteplici e multietnici, i sapori (ho mangiato di tutto...) e ho rubato con gli occhi quanto ho potuto. Ogni tanto mi fermavo e dicevo: sono a NYC. E mi sembrava una cosa meravigliosa. Ho avuto la fortuna di partecipare a una vera cena del Ringraziamento, a casa della famiglia di Lisbie, ad Hamilton nel New Jersey. Ho affettato per prima il tacchino, ho mangiato il pasticcio di carne, quello di patate dolci con le zucche. Ho mangiato la torta e bevuto la pina colada (le origini guatemalteche si sono fatte vive così), in un clima di famiglia molto caloroso e bello. Un bilancio positivo, che arricchirò ancora, ritoccando questo post appena posso, appena metto insieme gli appunti di questo viaggio a stelle e strisce.

venerdì 16 novembre 2007

Il mio Thanksgiving Day

Avevo pensato di lasciare un post con questo titolo: IL MIO VAFFADAY. Ma poi ho pensato che pensare a tutti i vaffa che vorrei dire non mi farebbe bene. Allora, visto che sto per partire, che New York sarà la mia chiave di volta, e considerato che vivrò un VERO thanksgiving day...
Grazie a me stessa. Perché è difficile sopportarmi da sola, ma ci riesco sempre.
G. a chi mi ha insegnato a sopportarmi e a portarmi rispetto.
G. a chi mi sta accanto, sempre e comunque.
G. a chi mi vuole bene, a chi mi ama.
G. anche a chi non mi ama, perché mi insegna come non vorrei essere.
G. a chi se n'è andato, e anche a chi ha avuto il coraggio di tornare.
G. a chi sta entrando, e anche a chi sta uscendo.
G. a chi da molto lontano sta sempre qua con me.
G. a chi mi fa ridere, a chi è positivo.
G. a chi mi fa bene al cuore.
G. a chi ha sempre una parola per me.
G. a chi pensa che non sono fuori di testa, ma solo un po' stanca.
G. a chi mi ha insegnato a leggere, e a chi mi consiglia i libri.
G. a chi mi ha insegnato a scrivere.
G. a chi mi scrive usando ancora carta e penna.
G. a chi ha elaborato la teoria dell'uomo post moderno.
G. a chi mi ha detto che i post moderni no, non li prendiamo in considerazione...
G. a chi è concreto. Perché sono un po' stufa di chi non lo è.
G. a chi mi accompagna negli Usa, soprattutto perché è da tempo che mi accompagna ovunque.
G. a chi non mi lascia mai. Nemmeno una volta.
G. a chi risponde sempre al telefono.
G. a chi è appena arrivato.

mercoledì 14 novembre 2007

Senti un po' che vento...

L'ultima volta che ho scritto del vento, era appena finita l'estate. C'era una foto dove io e Sara eravamo sulla spiaggia di Torre dell'Orso e aveva iniziato a tirare un vento forte, che aveva pulito bene l'aria. Ora è appena iniziato l'inverno. Fa freddo, piove e da qualche parte nevica pure. E tira di nuovo vento. Tra tre giorni parto. Vado a New York, con Leyla. Una settimana, per andare a vedere una città che sogno da sempre. In questi giorni sono successe tante cose, alcune veramente brutte, altre molto belle. Le brutte hanno sporcato Roma, il calcio e il tifo,. Hanno ricoperto di fango la polizia, hanno ucciso un ragazzo di 28 anni, mentre andava a Milano a vedere la Lazio. Le cose belle, invece sono le mie. Non le dico, perché appartengono solo a me. Ma è bello anche poterlo scrivere, dopo tanto tempo. E allora riparto, da New York, apro un'altra porta, chiudendone alcune alle spalle. "Niente paura, ci pensa la vita mi han detto così"...

martedì 13 novembre 2007

Silenzio.













Perché le parole, ora, non hanno senso.






martedì 6 novembre 2007

L'Italia di un vecchio cronista

"Torno in tv dopo un intervallo durato cinque anni: insormontabili ragioni che chiamerò tecniche mi hanno impedito di continuare il mio programma. Sono contento, perché alla mia rispettabile età c'è ancora chi mi dà una testimonianza di fiducia e mi offre lavoro. Ma non voglio portar via il posto a nessuno: non debbo far carriera, e non ho lezioni da dare. Voglio solo concludere un discorso interrotto con i telespettatori, ripartire da dove c' eravamo lasciati e guardare avanti. Quante cose succedono intorno a noi. Cercheremo di raccontare che cosa manca agli italiani e di che cosa ha bisogno la gente. Fra poco sarà il 25 aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita. C'è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi. Il revisionismo a volte mi offende: in quei giorni ci sono state anche pagine poco onorevoli; e molti di noi, delle Brigate partigiane, erano raccogliticci. Ma nella Resistenza c' è il riconoscimento di una grande dignità. Cosa sarebbe stata l' Italia agli occhi del mondo? Sono un vecchio cronista, testimone di tanti fatti. Alcuni anche terribili. E il mio pensiero va ai colleghi inviati speciali che non sono ritornati dal servizio, e a quelli che speciali non erano, ma rischiavano la vita per raccontare agli altri le pagine tristi della storia.I protagonisti per me sono ancora i fatti, quelli che hanno segnato una generazione: partiremo da uno di questi, e faremo un passo indietro per farne un altro, piccolo, avanti. Senza intenzione di commemorarci".
(Enzo Biagi, 22 aprile 2007)

domenica 4 novembre 2007

cronisti di strada

A volte penso che chi fa il mio mestiere sia un po' deviato. Perché a forza di scrivere, cercare, guardare, trovare notizie, ci si ammala. Perché altrimenti non avrebbe senso lasciare Trastevere e Testaccio sabato sera alle 23 per partire alla volta di Guidonia. Dove, per la cronaca, un ex tiratore scelto dell'esercito italiano si è messo sul balcone di casa e ha sparato ai passanti con una carabina e un fucile da caccia. Per ora ha ucciso solo una persona, un uomo che passava per quella strada per andare al cinema con la moglie e la figlia. Ha visto il fuoco sul balcone (aveva fatto le barricate con taniche di benzina, il capitano Angelo Spagnoli) e si è fermato per avvisare la gente. Lui ha sparato, uno, due tre, fino a 50 colpi. Ha ferito otto persone, una è in fin di vita. Quando siamo arrivati in quella strada umida, fredda, c'erano gli amici di Pino il tatuatore, la vittima. Era ancora steso vicino alla sua macchina, coperto da un lenzuolo. Intorno la scientifica. Una signora ha chiesto: ma perché non sono arrivati i corpi speciali per sparagli? Gli ha risposto un altro: Qua mica è l'America. La cosa più brutta di questo mestiere è vedere, toccare, sollecitare e dover poi descrivere il dolore della gente. Le lacrime, la disperazione, i ricordi. Loro parlano, ti spiegano "quanto era buono Pino, il classico amico che tutti vorrebbero", e tu scrivi. Cerchi di sapere di più, sulla vittima, sulla moglie e sulla figlia. Ascolti, chiedi, registri (a volte si litiga anche con i colleghi, specie quegli arroganti della Rai che ti guardano dall'alto in basso). Poi te ne vai. Quando arrivi a casa, spegni la luce e da sotto le coperte pensi a quello che hai visto, ti vengono i brividi. E poi magari, ti capita come succede sempre a me: sogni feriti, morti. E ti svegli con il cuore in gola. Perché era un sogno, ma i morti li hai visti per davvero.

P.S.: e comunque, visto che ho titolato il post su una cosa di cui non ho fatto che pochi accenni, dico questo: essere un cronista è il più bel mestiere del mondo. Aggiungo una piccola noticina. Ieri sera ero con due amiche/colleghe e un cronista per caso. Ma molto più cosciente di tanti altri (presunti) cronisti di mestiere.

venerdì 2 novembre 2007

ma che città è questa?

Accade che una sera una donna rientra a casa dopo un pomeriggio di shopping e viene aggredita, rapinata, stuprata e picchiata fino alla morte. Accade che viene fermato un giovane romeno, 24 anni, col volto sporco di sangue della vittima e sulla faccia e sulla schiena i segni di una difesa disperata da parte della donna mentre veniva picchiata. Accade che nel campo rom arriva la polizia, perquisisce, ferma, arresta, manda via e butta giù baracche. Accade che il dolore di una famiglia, di un marito innamorato, di due genitori anziani e con il cuore spezzato, di fratelli, amici viene strumentalizzato dalla politica di casa nostra, in un balletto di responsabilità che fa venire il voltastomaco. Accuse reciproche, responsabilità scaricate ora a destra ora a sinistra. Accade che il giorno dopo la morte di Giovanna Reggiani, in un parcheggio arriva un raid punitivo: catene, bastoni contro un gruppo di romeni picchiati selvaggiamente. Tutto questo accade a Roma. "La città più sicura del mondo prima dell'entrata della Romania in Europa" tuona Walter Veltroni che fa le prove generali da premier, dopo qualche ora dall'aggressione. "Il 75% dei reati in città sono commessi da romeni", prosegue il Primo cittadino. Intanto, dietro l'Auditorium della Festa del cinema, a pochi passi dagli Studios di Cinecittà ci sono baracche, tuguri, topi, sporcizia e disperazione, raccolte nei campi abusivi di cui Roma è piena. Questo volto "invisibile" di Roma (come lo chiama Peppe Mariani) non deve e non può giustificare la violenza e l'infrazione della legge. Ma ha ragione il pastore valdese Antonio Adamo: "L'Italia per l'immigrazione è stata superficiale. Non si può accogliere e lasciare pooi lungo gli argini del fiume". Ma di chi è la colpa? Di tutti e di nessuno. Cosa si può fare? Il governo ha varato un pacchetto sicurezza, facendo la sua parte. Ma ho l'impressione che la paura dell'altro, del diverso, dell'immigrato sia diventata talmente normale da soffocare il senso di solidarietà e di giustizia verso i disperati.

lunedì 29 ottobre 2007

48 ore


Questa foto è esplicativa. Un mister pensieroso, afflitto da una squadra che sembra spenta e dall'accusa di aver chiesto a Lotito di "calmare" la Reggina. Lui, Delio Rossi ("tuo zio Delio", direbbe Valerio) è silente. Parlano però i risultati che evidenziano una squadra spenta, "ci sono problemi" ha ammesso il mite Ballotta, "un momento delicato" lo ha definito Rocchi. Mi sembra così lontano quel mercoledì da leoni, quando per poco non piegavamo il Real Madrid. Dopo quella partita, qualche lampo e niente più. E tra 48 ore c'è il derby. "LA" partita, che solo chi è tifoso sa quanto vale. Sa quante e quali emozioni regala. Quando mi trovo a parlare con chi non ama il calcio mi rendo conto che tifare una squadra è avere una specie di malattia. Perché il mio umore cambia, mi arrabbio o sono contenta a seconda dei risultati della Lazio. E tutto questo esplode all'ennesima potenza durante il derby. Un turbine di emozioni, di ricordi. Come quando siamo scappati, io e Luca, cinque volte dalla carica della polizia. O quando hanno sospeso la partita e entrava il fumo dai corridoi, non si vedeva niente, si sentivano solo i passi della celere mentre ci caricava. Il rumore degli scudi e dei manganelli, gli occhi che bruciano, il respiro tagliato in quell'angolo umido di Roma dove c'è l'Olimpico. Eppoi, il nodo alla gola, il viaggio in macchina, la sciarpa al finestrino "perché si deve vedere di che squadra siamo". I gesti scaramantici, le stesse parole, lo stesso svincolo, gli stessi vestiti. E lo sguardo verso quella scritta enorme "Ave Paolo", in ricordo di un derby che mai dimenticherò. I tempi sono cambiati dal quel 6 gennaio di qualche anno fa. Un'altra storia, un'altra Lazio. Temo questa partita, perché ho visto la Lazio in affanno, smarrita. E le merde fanno risultato, sono gasati. Totti si è risparmiato per mercoledì notte, Vucinic è rinato a vita nuova, "aspetto la Lazio", ha detto. Giocano, macinano punti, tritano gli avversari. Noi siamo più piccoli, ma non meno domi. Anzi. E' la nostra storia. Piegati qualche volta, ma mai spezzati. Ma non voglio pensare. Voglio solo aspettare. Perché 48 ore sono poche.

mercoledì 17 ottobre 2007

Dopo tanto tempo

Quando uno decide di mettere in piedi un blog, dovrebbe averne cura, aggiornarlo, riempirlo di cose, di foto e voci. Io per mlto tempo ho un po' abbandonato la mia araba fenice, pur lasciando, come ultima mia traccia, un post molto bello. Ma è il caso di riprendere a scrivere, a pensare a pubblicare.
E ricomincio con un piccolo testo di un mio caro amico, scritto per la morte di Luciana Frassati Gawronska, figlia di Alfredo - il fondatore de La Stampa - sorella del beato Pier Giorgio e madre del giornalista Jas Gawronsky. E' morta a 105 anni ed è stata testimone di un secolo intero. Il Novecento, un periodo di grandi trasformazioni e di grandi avvenimenti. Lei ha avuto un osservatorio speciale per guardare tutto questo, per capirlo, scriverlo (ha pubblicato diversi libri) e raccontarlo agli altri. Io l'ho conosciuta solo come sorella di Pier Giorgio, beatificato da Giovanni Paolo II e morto a 24 anni di poliomelite fulminante: gli anni che ha vissuto li ha dedicati ai poveri, agli ultimi. La sorella, negli anni, ha raccolto molto della vita del fratello, mettendolo assieme in alcuni bei volumi.
Domenico, che ha avuto il privilegio di incontrare Luciana Frassati Gawronska, la descrive con queste bellissime parole.

"A casa sua c'era nata La Stampa. E ci si sentiva addosso tutta la grandezza del senatore Alfredo Frassati ad entrare nel palazzo torinese di piazza Solferino dove Luciana Frassati viveva. Ti accompagnavano per le stanze dagli alti soffitti il gusto e l'arte della madre, Adelaide. Sopra tutto, sentivi ancora vivo il ricordo di suo fratello. Pier Giorgio che in casa era considerato un po' pigro. Pier Giorgio morto a 24 anni. Pier Giorgio che lei, Luciana, aveva iniziato a conoscere davvero solo quando, il giorno dei funerali, dalla finestra una fila interminabile di persone dirette verso la chiesa della Crocetta cominciava a raccontare la sua santità. Pier Giorgio al quale lei, Luciana, aveva dedicato tanta parte della sua vita. Ore, giorni, pagine forse sottratti al suo amore per la poesia e spesi per raccontare al mondo chi era suo fratello. Era bello sentirla parlare di lui. E se anche la sua memoria ogni tanto le giocava qualche scherzo, in lei ogni volta rivivevano le gesta della Compagnia dei tipi loschi, le difficoltà di uno studio in cui zoppicavano entrambi, la passione per la montagna, una spiritualità incarnata davvero. Riviveva con le parole, con gli sguardi, magari mentre giocava con un fermaglio, tutto quello che aveva raccontato per iscritto, in quei libri tradotti in chissà quante lingue. E ti sorprendevi a immaginare che da un momento all'altro da quella porta avrebbe fatto capolino il buon Pier Giorgio".

venerdì 21 settembre 2007

Fermare il tempo

Certe volte, pensavo l'altra mattina mentre attraversavo a piedi via della Conciliazione, mi verrebbe voglia di fermare il tempo. Lasciarlo lì, per sempre, magari come in questo bello scatto. Sarebbe impossibile, per carità. Ma guardando questa foto, mi è tornato in mente quel pensiero. La sera in cui è stata scattata avrei voluto fermare il tempo. Mi guardavo intorno e mi sentivo serena. Ecco perché avrei voluto fermare l'orologio. Perché così avrei visto Stefano un po' più spesso, avrei evitato il rischio di non riconoscere Jasmine, dato che non ci vedevamo da due anni. O avrei potuto guardare Tommaso dal vivo, invece che vederlo far capolino col registratore dietro Prodi o Berlusconi nei tg. Avrei potuto vederci sempre così, belli, sorridenti, sereni. Non è possibile, ma in fondo non fa nulla. Io, tutti loro, ce li ho in carne e ossa, che forse è pure meglio. Ora che sono qua, li posso chiamare, cercare, vedere, quando voglio e dove voglio. Non mi viene più la nostalgia, nel pensarci distanti. Non lo siamo più. E, soprattutto, sono felice che adesso, finalmente, rivedo il sorriso sulla bocca di tutti. E' stato un anno duro, pesante, tragico per alcuni di noi. Almeno per ora, pare che le cose stiano tornando al loro posto, piano piano. Perché se in fotografia sembriamo un gruppo di persone veramente ok, dal vivo lo siamo ancora di più.

giovedì 13 settembre 2007

Gaia, Cribari e quelli tosti


Ieri Gaia sembrava la sorella di Cribari, più che la mia. Si è operata al naso martedì, e ieri, insieme con il suo bel nasetto nuovo aveva anche due occhi gonfi e viola, come il nostro Sanchez Emilson Cribari con i suoi chiodi e le sue placche in faccia. Perché, per chi non lo sapesse, Cribari si porta dietro un bel souvenir dal preliminare di Champions contro i rumeni della Dinamo Bucarest, quando è sceso in campo, nella gara di ritorno, dopo undici giorni dall'intevento per ricomporre la frattura scomposta pluriframmentaria della mascella, dello zigomo e del pavimento oculare. Quando ieri mattina l'ho vista nel suo letto con il volto tumefatto, ho pensato al nostro stopper e le ho detto: quando esci, gli chiediamo se ti presta la mascherina. Lei ha riso, ma poco, perché mica poteva aprire gli occhi. Non ce la faceva a camminare, a stare in piedi. Stamattina, l'ho trovata seduta sul letto che leggeva Vanity Fair. Gli occhi meno gonfi, il suo nasetto nuovo sfoggiato come un trofeo di guerra (è ancora fasciato, ma si vede che è venuto bene), se ne stava lì, ad aspettare che le dicessero di andare a casa. Per questo, guardandola mi è venuto in mente Cribari con la sua mascherina e le sue viti che tengono ferme le placche nel viso, mentre corre su e giù per il campo. Due tipi tosti, insomma...
P.S.. Oggi è il compleanno di Leyla, e pure di Giampaolo...tanti auguri a tutti e due.

lunedì 10 settembre 2007

I fischi da lontano

Ora che è sera, riesco a trovare un po' di tempo per scrivere, per aggiungere pensieri al mio blog. E' sera e dalla finestra entra l'aria fresca che segna la fine dell'estate. Bella questa estate, come un'altalena, che mi ha spinto su e giù per l'Italia, fino a farmi fermare a Roma. Insomma, questo vento nuovo continua a soffiare, soprattutto ora che è iniziato un nuovo corso. Ha ragione Siso, prima di fare un fischio, bisogna imparare a fischiare (se non capirete questa frase, non me ne vogliate: chi ha orecchi per intender, intenda. Ogni tanto, il mio Australosisotto me lo devo coccolare. E grazie, Siso per la poesia. Sei un genio). Buon inizio di questo splendido autunno romano.

martedì 28 agosto 2007

Eccolo qua, il vento nuovo




Ha iniziato a tirare un vento nuovo, di quelli che ti scompigliano i capelli. Quando mi è stato comunicato che la mia nuova sede lavorativa sarebbe stato il mio domicilio e quel domicilio corrisponde a casa mia, quella vera, nella piazzetta di Torre dell'Orso c'era parecchio vento. Tenevo gli occhi socchiusi, per cercare di capire bene quello che mi stava dicendo la persona che era al telefono con me. Torno a casa, ho pensato e ho detto a Sara (nella foto qua a fianco), prima che lei mi travolgesse con un abbraccio. E anche quando l'ho detto a Leyla (a letto che sudava come pochi per il febbrone che s'era presa...), a Davide, a Claudio e Francesco mi hanno detto: bentornata a casa. Allora ho ripensato quando questo vento che quel giorno mi ha scompigliato i capelli, il vestito e la vita mi sembrava lontano. Quando, anzi, mi è sembrato che all'improvviso non tirasse più alcun vento. Che tutto fosse fermo, perduto. Invece eccolo qua, questo benedetto vento. Non ha smesso di soffiare, perché deve ancora pulire bene l'aria, ma intanto qualcosa sta cambiando.
E sono sicura che non è un caso che abbia iniziato a soffiare proprio nel Salento (chi non c'è mai stato, vada: è un angolo di paradiso), con i miei amici. La loro pazienza, quando il cellulare squillava in ogni momento, a tutte le ore, è stata degna di Giobbe. Così come il loro affetto, infinito, nel sopportare e sostenere i miei cambi di umore, la preoccupazione che diventava gioia e poi di nuovo giù, nel baratro. Vorrei ringraziarli veramente, ma non saprei come esprimere quello che ha significato per me averli accanto, poter festeggiare con loro. Anche ai giornalisti, ogni tanto, mancano le parole.


venerdì 17 agosto 2007

Leyla e la vigilia della Bear's Tower

La prima volta che ho visto Leyla è stato quealche anno fa, nei corridoi della Lumsa. Ma non c'avevo mai parlato. Poi, con Lumsa News e i 24 mesi di praticantato, l'ho conosciuta e siamo diventate inseparabili. "I due carabinieri", ci chiama ancora Paoluzi, un po' perché giravamo sempre in due, un po' per il carattere molto simile. E dato che manca così poco alla partenza della nostra vacanza, all'avvio della Bear's Tower (per la quale, se non c'era Leyla...) voglio lasciare anche il suo segno sul mio bel blog. Eccola qui, nella foto accanto, nell'estate di due anni fa. Insieme abbiamo condiviso praticamente tutto degli ultimi tre anni: esami, laurea, praticantato, lacrime, gioie, cuori spezzati, giornate di frenetico shopping (le nostre preferite). Ci mancava solo una vacanza. Eccola. Tra qualche ora inizia il ritiro a casa sua, dove i sei della Bear's Twer operation si ritroveranno per poi, domani mattina, mettersi in macchina e raggiungere il Salento.

mercoledì 8 agosto 2007

Un pezzo della vita mia, una settimana dopo

E' passata una settimana dal mio ultimo post. Da quel giorno (io e i miei 136 colleghi di Epolis) siamo diventati Cigs. E in una settimana sono cambiate tante cose. Ho provato più volte ad aprire il blog per scrivervi qualcosa. Ma non riuscivo. Stasera, invece, le parole scorrono da sole.

Sono a casa, a Genzano e non più a Brescia. Ho impiegato una settimana per ambientarmi, oltre che per capire quel che stava succedendo. In una settimana durante la quale ho fatto fatica pure a ritrovare un sonno sereno. Ho dovuto sbrigare un po' di pratiche, mandare fax, fare bonifici. Ora sono qui. Sto riprendendo il ritmo del respiro giusto, come quando finisce una grande corsa. Sto decomprimendo il cervello, cercando di farlo riposare. Ho ripreso contatti con il mio mondo e ho notato che è sempre quello. Mi ha aspettato, non si è mosso mica tanto. Ho riscoperto la familiarità con la mia casa, la mia stanza, il mio armadio (ma quanti vestiti ho comprato con un anno e mezzo?!). Insomma, mi sono ripresa un po' la ia dimensione. Però mi manca quel pezzo della vita mia, come dice sempre Daniela Amenta. Mi manca Rossella, e pure Nino (e pure Spino, ovvio!). Mi mancano i nostri appuntamenti alle 11.10 al Duomo, le nostre chiacchierate, le infinite passeggiate e i discorsi che non finivano mai. Le cene, le diete, i gelati e le pizze. Ma anche la nostra amicizia costruita nella quotidianità, cementificata dalle ore passate in redazione. Mi manca anche quella, con il mio tavolo, il computer, l'angolino con le foto di Di Canio e della curva Nord. Mi manca l'aria viziata, Tortelli che si lamenta e la Pierucci che lo insegue. Bacca con lo sguardo sulla sua pagina e la sigaretta tra le labbra. E Denise al telefono che combatte le sue battaglie sulla linea Brescia-Bergamo. Per un anno e mezzo tutto questo (e molto altro) è stato la mia quotidianità, un pezzo della vita mia, appunto. Ora si cambia, ma quello che è stato resta. E ora, in questa sera un po' fresca, sento un pizzico di nostalgia e i pensieri vanno da soli. Ma sono anche molto serena. La mia estate è appena iniziata.

mercoledì 1 agosto 2007

La domenica del villaggio













Metti una bella domenica di agosto, con tanto sole e un bel vento. Metti due padovani (Sebastiano è di Padova?!), una vicentina e due laziali. E metti le montagne verdi di Tremosine e le spiagge ciottolose del lago di Garda. Metti anche un gardesano di Salò, impegnato "istituzionalmente" fino a sera, ma che fa parte del gruppo. Ecco, unisci questi elementi e avrai il risultato di una domenica quasi in famiglia, e dico quasi perché nessuno di noi ha legami di parentela. Ma facciamo parte di quella bella rete sinergica e positiva messa in piedi dopo un anno e mezzo di Epolis. Perché il bello di essere Epolidi è anche questo: uniti dallo stesso destino di fare un pezzo di strada insieme, condividendo il lavoro, il giornale, le idee, i pregi e le virtù, ma anche una domenica al lago tra amici.

sabato 28 luglio 2007

I tramonti, la notte e la strada


Ora che è sera tardi, fuori dalla mia finestra i rumori non ci sono quasi più. Ci sono le stelle, c'è tanta afa e qualche luce accesa nel palazzo di fronte. Nel silenzio, sto ripensando ai momenti che ho vissuto in queste ultime due settimane. Lo smarrimento che leggevo negli occhi intorno a me era lo stesso che avevo io nei miei. La sensazione di non sapere dove andare, di aver perso un po' la strada. Poi però riaffiora la speranza. Una speranza di uscirne vivi, quantomeno. Perché la strada è ancora lunga, ma non è perduta. Una strada come quella della foto, che ho scattato nel 2001 in Madagascar: una lingua di asfalto spaccata dal sole e dagli zoccoli degli animali che la solcano. A farle da contorno la terra rossa e i campi verdi. La sovrasta il cielo azzurro e le nuvole bianche. Ecco, quando penso a quello che vivo in questi momenti, ho l'impressione di camminare su una strada così, rovinata ma dritta che porta da qualche parte. E perché, come dice il mio amico Francesco, il momento più nero della notte è quello che precede l'alba. Il sole deve sorgere, e noi lo aspettiamo.

venerdì 27 luglio 2007

Il vento


Stamane, aprendo una cartella sul mio computer, ho trovato questa foto: è il manoscritto originale dell'Infinito di Giacomo Leopardi, per me una delle più belle poesie mai scritte nella storia della letteratura italiana. Ho ripensato a una frase che ho sentito qualche giorno fa in tv, detta da Borsellino: Speriamo che cambi il vento, che venga il libeccio, che si porti via quest'afa. Ho pensato: sì, speriamo che venga un vento nuovo, che sia libeccio o maestrale, oppure scirocco o levante o ponentino poco importa. Purché porti l'aria nuova, scompigli le carte, gli animi, i capelli. Che pulisca l'aria e spazzi via le tante parole inutili, i convenevoli, che allontani i nuvoloni neri.
Mi ha chiamato Tommaso, oggi pomeriggio, per chiedermi come stavo. La sua voce mi ha fatto proprio bene. Poi Leyla ha ritrovato la sua valigia (e sennò come andava in Egitto?) Stefano ha promesso di venirci a trovare in Puglia. Queste informazioni sono le mie buone notizie per oggi.

giovedì 26 luglio 2007

Dalle barricate, XVII giorno.



Sfogliando il blog di Simone ho trovato questa bellissima foto. La sua storia: Sisotto fa una pausa, scende in strada (vive e lavora a Sidney da marzo) e trova questa foglia. Gli viene l'illuminazione, scrive il biglietto, la appende, scatta la foto e via, la pubblica sul blog.

Oggi l'ho trovata e per fare anche un little gift a lui l'ho pubblicata pure io. E' un'istantanea speranzosa, che non fa mai male, viene da lontano, ma in quel lontano ci vive il mio amico, quindi non è poi così lontano. E guardandola, mi è venuta in mente quella cena fatta a Genzano a gennaio, il 30 per l'esattezza. Alla vigilia di eventi importanti per tutti, ci siamo ritrovati davanti a una tagliata per guardarci negli occhi, noi "LumzaFriends", quelli che volevano cambiare il mondo (e la Lumsa, a dire il vero. Ma non ci siamo mica riusciti...). Buttando sul tavolo vecchie foto, quaderni con i racconti delle mattinate passate sui banchi dell'aula magna, schizzi con le arche di noè (e chi se lo dimentica il cane calabrese?!). Cercando di capire cosa sarebbe successo domani, provando a pensare un futuro che avremmo voluto vivere a modo nostro. Ci siamo riusciti? Un po' sì, un po' no. Ma tanto di tempo ce n'è, possiamo ancora aspettare, pensare, progettare.

martedì 24 luglio 2007

sull'araba fenice e sui milioni di euro...

"Il simbolo del Pellicano che nutre i suoi piccoli con il sangue che sgorga dal suo petto è l’immagine dell’amore paterno. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria di Cristo che sulla Croce venne trafitto al petto perdendo sangue e acqua fonte della vita per gli Uomini. Il sangue scaturente dal petto del Pellicano è, per l’Ars Symbolica, la forza spirituale che alimenta il lavoro dell’alchimista che con grande amore e sacrificio conduce la ricerca della perfezione. Nell’iconografia alchemica il Pellicano simboleggia un particolare vaso nel quale veniva riposta la materia liquida da distillare.La simbologia del Pellicano fu impiegata in molteplici significati fra cui quello della Pietra Filosofale, dell’interesse non egoistico all’ascesa verso la purificazione e nel rito massonico scozzese l’uccello indicava il grado di Rosacroce, anticamente definiti «Cavalieri di Rosa Croce».
Il simbolo della Fenice trova le proprie origini nell’antico Egitto ove assumeva il significato solare associato alla città di Heliopolis. In essa veniva onorato il dio Sole che ogni giorno sorgeva e tramontava. La Fenice rappresenta spesso la fase finale del processo alchemico e gli alchimisti in questo uccello riposero il significato della spiritualizzazione completa, della rinascita della personalità risultato finale della Grande Opera. Secondo un mito greco, rifacentesi ad uno più antico egizio, la Fenice risorgeva dalle ceneri della sua pira ogni cinquecento anni e tale leggendaria immagine di longevità ed immortalità costituì, durante il Medioevo, un parallelo con l’immortalità e la resurrezione di Cristo dal Santo Sepolcro. Nell’opera l’iconografia dell’uccello viene dopo quella del Pellicano non solo nel rispetto della successione delle fasi alchemiche, ma anche nel significato rispetto a quello che lo precede. Infatti la sua capacità di ricrearsi acquisisce il significato divino nei confronti di quello umano del Pellicano. Il magnifico aspetto rosso dell’uccello (‘fenice’ deriva da una parola greca che significa ‘rosso’) evoca il fuoco creatore capace di dissolvere le tenebre della notte simboleggianti la condizione della morte, del peccato, dell’anima liberata dalla natura umana che l’opprime. Il simbolo alchimistico è molto diffuso e viene spesso impiegato per raffigurare la proprietà della Pietra Filosofale capace di moltiplicare e aumentare la quantità d’oro ottenibile dalla trattazione della vile materia prima. Nel lato sinistro della tavola la Fenice è riprodotta come simbolo maschile che protegge i due elementi fuoco e aria contenuti nelle due sfere sotto le sue ali".

Questo testo me lo ha girato Marco, che prima di essere uno dei miei migliori colleghi è un caro amico. Ecco perché, certe volte, quando penso che il mondo Epolis possa fermarsi, mi arrabbio. Perché ha creato una sinergia tra alcuni di noi unica. Perché trovarsi ogni giorno fianco a fianco a tirare su notizie, pensare il giornale, vederlo crescere ora dopo ora, provare l'emozione unica di costruirlo, pagina dopo pagina, mettendo insieme le nostre capacità ma anche i nostri limiti, cementifica, rende migliori. Perché basta una telefonata per far ritrovare insieme dieci disperati davanti a una pizza, girando su e giù per il lombardo-veneto alle 3 del mattino. Solo chi l'ha provata può capire quella solidarietà profonda di chi vive 12 ore al giorno insieme. Si diventa un po' fratelli, un po' amici, un po' vicini di casa, un po' conviventi. Ecco perché nemmeno mille milioni di euro bastano per ripagarci di tutto questo.

la mia casa

«... Vidi la festa, la gente, le bellezze veramente rare del paese, i Romani venuti in folla, i villeggianti dei vicini Castelli... L'insieme riesce vivacissimo; e visto dal piede della salita si mostra come un tappeto magnifico, che rincresce di veder poi guastato dai piedi della processione» (M.D'Azeglio).

«Tutta la strada è tappezzata di fiori.. Neanche un filo d'aria si muove e i fiori giacciono al suolo, come se fossero pesanti pietre preziose» (C.H. Andersen).

Quella che si vede accanto, è via Livia nel giorno dell'Infiorata, una festa bella e colorata che si celebra ogni anno la domenica dopo il Corpus Domini, a giugno. Tutta l'aria di Genzano profuma, perché di petali ce ne sono tanti. E l'odore della ginestra, del garofano, della rosetta, del granoturco e ancora, della mortella, della finocchiella, della sausa, del pino e del seme di scopa, si mischia quello del pane appena sfornato, in un turbine che avvolge l'aria e la imprigiona con queste essenze. La via che porta al Duomo, viene totalmente ricoperta da un tappeto floreale che, in pannelli di perfezione artistica, riproduce opere d'arte famose, tappeti elaborati ed opere di pittori celebri. L'Infiorata nata come sentimento di fede è diventata dal 1778, grazie ai fratelli Arcangelo e Nicola Leofreddi, una manifestazione d'arte suggestiva. E' gloria di fiori e di colori, che in poche ore prendono forma. Garibaldi nell'agosto del 1875 si rifiutò decisamente di passarvi sopra perché «certe cose divine non si calpestano».

In questo angolo dei Castelli romani, stretto tra le colline e la Città eterna sono nata e cresciuta. E non potevo non lasciarne segno sul mio blog che muove i primi passi.

lunedì 23 luglio 2007

l'araba fenice, dalle barricate

"Dopo aver vissuto per cinqucento anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo.
Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza. Dal cumulo di cenere emergeva poi un piccolo uovo che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro".

Il mio primo post, il mio primo blog nasce in una delle estati più calde della mia vita. Sia per le temperature, sia per ciò che mi sta accadendo. E, iniziando questa avventura, ho pensato che fosse bello chiamare il mio nuovo diario come il bellissimo volatile mitico, che dopo aver vissuto moriva e rinasceva dalle sue stesse ceneri.

Scrivo dalle barricate che hanno la forma di una redazione, quella de Il Brescia, dove insieme con i miei colleghi passiamo le giornate ad aspettare delle notizie, buone o cattive che siano. Ma non per pubblicarle, come sarebbe normale per un quotidiano, ma per sapere cosa ne sarà del nostro futuro. E mentre aspettiamo, abbiamo trasformato questa nostra bella redazione in una barricata. Per resistere, resistere, resistere...